Marco pigia sull’acceleratore, il tempo corre veloce, si fa sempre più sera. Fuori la Sabina ci mostra i suoi occhi intensi, da ammirare per lasciarsi ammaliare dal riflesso della campagna, delle fattorie, dei castelli e dei conventi che si presentano ad ogni giro di curva, quasi con la stessa intermittenza della luce delle stelle.
“La parte più lunga di un viaggio, si dice, sia attraversare il cancello”, scriveva Marco Terenzio Varrone. Siamo partiti da Roma, dopo una breve tappa all’abbazia di Farfa abbiamo ripreso a guidare lungo la Salaria, diretti a Rieti, proprio nella città natale del grande erudito latino.
Rieti è davvero bella, circondata da poderose mura di origini medioevali (secolo XIII). Splendide le sue chiese, come la romanica di S. Pietro apostolo del duecento o le gotiche di S. Francesco, S. Domenico e S. Agostino; per non parlare della cattedrale eretta attorno al 1100 e del suo imponente campanile del XIII secolo. Qui sono conservate opere pregevolissime, in particolare una tela raffigurante L’Angelo Custode di Andrea Sacchi e la statua di Santa Barbara, scolpita dal Mari su disegno del Bernini.
Parcheggiamo l’auto fuori della cinta muraria, abbiamo una missione da compiere: raggiungere il centro. Le nostre Nikon sono pronte, i flash carichi, tra qualche isolato saremo sull’obiettivo. Ecco piazza San Rufo, ci siamo. Una pietra a forma di caciotta indica che siamo nel punto più centrale d’Italia: la nostra tappa si conclude qui, ora possiamo dire di essere veramente al centro. Non sarà stata certamente un’avventura pericolosa, come quelle di passati esploratori quale Robert E. Perry, che raggiunse il punto più occidentale dell’antartico, compiendo un viaggio in slitta, ma almeno possiamo chiamare gli amici per comunicare loro dove ci troviamo.
A parte piazza S. Rufo, le perle artistiche a Rieti sono veramente tante: il palazzo Ricci, di Giovanni Stern, il palazzo Vescovile, il museo del Tesoro del Duomo, ricco di affreschi medioevali e di oreficeria sacra. Ed ancora il museo civico, che ospita importanti pitture di Luca di Tomè, di Liberato, di Benedetto da Rieti e le sculture di maestri abruzzesi quattrocenteschi: Cesare Tuppi, Antonio Canova, Giuseppe Fabris, oltre a reperti ed epigrafi di età romana. Appunti, questi, abbozzati nell’attesa di un piatto di linguine ai funghi porcini e tartufo, alla “Trattoria Rino”. Ogni piatto in Sabina viene magnificamente esaltato dalle caratteristiche dell’olio del posto. Noi abbiamo fame, non vediamo l’ora di assaporare le specialità della casa e intanto sorseggiamo del buon vino, così, per ammazzare l’attesa.
Ormai è notte, vogliamo concludere alla grande. Il buon Rino ci indica uno splendido castello nei dintorni di Leonessa; un paio di scatti e via, la redazione sarà felice. Le cose preziose amano nascondersi, come certi bijou di città, ma che bello scovarli; solo che di strada ne abbiamo fatta tanta e nessun castello all’orizzonte. Sarà l’oscurità, il vino o la stanchezza, ma sulla strada solo alberi. Forse il maniero sarà fatato o più semplicemente ci siamo solo persi: non importa, il bello del viaggio, per chi non ha un navigatore satellitare, è anche questo. Tra i boschi scopriamo una luce riflessa, che cosa sarà? Incredibile! Rimaniamo un po’ perplessi. Marco rallenta, strani fasci di luce rossa e blu emergono dalle viscere del bosco. State con noi, scopriremo ogni cosa.
Diego Pirozzolo