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Cous Cous

Una scena del film Cous CousÈ stata soprattutto la stupefacente prestazione degli interpreti di Cous Cous ad aver conquistato il pubblico e la critica. Abdellatif Kechiche (Tutta colpa di Voltaire, La schivata) ha scelto attori tutti o quasi tutti non professionisti, ciò nondimeno capaci di sostenere il proprio ruolo con straordinaria sicurezza, conferendo ai propri gesti, alle parole, agli sguardi, ai silenzi una naturalezza, spontaneità ed energia decisamente insolite nel cinema contemporaneo. È possibile cogliere, nel film, un’impressione di apparente immediatezza e facilità che ha fatto pensare a Renoir, a Pagnol, a Cassavetes, a Pialat: autori tutti che hanno saputo valorizzare appieno l’apporto emozionale dei loro commedianti.

I miracoli, si sa, non piovono dal cielo. A monte dell’eccellente performance degli attori c’è un lungo e accurato lavoro di preparazione: mesi e mesi di prove (e di esercitazioni su testi teatrali di Marivaux e Cechov) che hanno consentito agli interpreti di affiatarsi (il film è impostato su grandi scene corali) e al tempo stesso di acquisire i segreti del mestiere. La sceneggiatura stessa e i dialoghi sono stati costruiti a poco a poco proprio a partire dalle prove, durante le quali agli attori è stato chiesto di recitare a soggetto e di intervenire in modo attivo nel gioco della finzione. Poi, al momento di girare, fissati i tempi e i modi dell’azione drammatica, nulla è stato più lasciato all’improvvisazione.

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La pellicola si compone, di fatto, di due parti distinte. La prima parte, giocata su continue digressioni e grandi sequenze impostate su tempi dilatati, fittissimi dialoghi e insistiti piani ravvicinati sui volti dei personaggi, consente al regista di delineare un vivido spaccato ambientale ed etnografico illustrando in una narrazione distesa il milieu franco-maghrebino di una piccola città affacciata sul Mediterraneo (il teatro dell’azione è Sète, lo stesso utilizzato da Claude Sautet per È simpatico ma gli spaccherei il muso), un tessuto comunitario in bilico tra attaccamento alla propria identità culturale e desiderio di integrazione, difesa delle tradizioni e volontà di riscatto sociale.

Kechiche, che conosce assai bene quel mondo, nulla ha inteso concedere al facile folklore. Egli giunge anzi a rovesciare e irridere certi logori luoghi comuni: lo stereotipo, ad esempio, del rapporto uomo/donna all’interno della famiglia tradizionale araba: nel film tutti i maschi esprimono una virilità titubante e incerta, o disordinata; le figure femminili, per contro, rivelano ben altra energia e sicurezza e determinazione nell’affrontare a viso aperto le avversità della vita. Lo sguardo del regista è privo di indulgenza: non elude i segni del malessere e dello smarrimento (le malefatte di Kader, il figlio inaffidabile di Slimane; i ragazzini che rubano il motorino), né tace sulle tensioni e contraddizioni che si innescano all’interno delle dinamiche di gruppo (il rancore sordo che oppone i componenti delle due famiglie del protagonista).

La seconda parte del film – quella che descrive la cena inaugurale del ristorante – esibisce un differente stile di racconto, improntata com’è a un maggior dinamismo di ripresa e di montaggio. Kechiche dipana qui un intrigo melodrammatico forte, privilegiando una tensione narrativa più incalzante e l’uso del montaggio parallelo. L’impeccabile chiusura della vicenda ha un taglio secco ed ellittico, e rimanda per molti versi alle sequenze conclusive “aperte” delle precedenti pellicole del regista.

Nicola Rossello

Scheda film

Titolo: Cous Cous
Regia: Abdellatif Kechiche
Cast: Habib Boufares, Faridah Benkhetache, Hafsia Herzi, Abdelhamid Aktouche, Bouraouïa Marzouk, Alice Houri, Cyril Favre, Leila D’Issernio, Abdelkader Djeloulli, Bruno Lochet, Olivier Loustau, Sami Zitouni, Sabrina Ouazani, Mohamed Benabdeslem, Hatika Karaoui, Henri Rodriguez, Nadia Taouil
Durata: 151 minuti
Genere: Commedia drammatica
Distribuzione: Lucky Red
Data di uscita in Italia: 11 gennaio 2008

Sinossi

Sète (Marsiglia), il porto.
Beiji, sessantenne stanco, si trascina nel cantiere navale con un lavoro diventato penoso con il passare degli anni. Padre di famiglia, divorziato, deciso a restare vicino ai suoi cari nonostante una storia familiare fatta di rotture e di tensioni che le difficoltà finanziarie non fanno che esacerbare, attraversa un periodo della vita delicato in cui tutto sembra contribuire a fargli provare un senso di inutilità. Un senso di fallimento che pesa su di lui da qualche tempo e dal quale sogna di uscire dando vita alla sua impresa: un ristorante.
Purtroppo, però, non c’è niente di sicuro poiché il suo stipendio, insufficiente e irregolare, è molto lontano dall’offrirgli i mezzi per portare a compimento la sua ambizione. Questo non gli impedisce di sognare e di parlarne, soprattutto in famiglia. Una famiglia che va saldandosi poco a poco intorno al progetto, divenuto per tutti il simbolo della ricerca di una vita migliore. Grazie alla loro capacità nel sapersela sbrogliare, agli sforzi fatti, il loro sogno presto vedrà la luce. O quasi…

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