New York. Passeggiamo sulla 5th Avenue e raggiungiamo l’edificio 291, così come hanno fatto tanti artisti e fotografi nei primi anni del xx secolo. Al 291 si trovava la galleria d’arte di Alfred Stieglitz, una specie di guru del tempo, colui che riuscì ad operare un collage tra la fotografia documentaria e quella più propriamente di ricerca.
Se passeggiamo a New York d’inverno potremmo trovarci sulla 5th nel pieno di una bufera di neve. Ci si muove a stento sulla strada, come nell’immagine “Winter on the Fifth Avenue” del 1893. Una carrozza viene verso di noi, altre sono dietro. Dei solchi lasciati dalle ruote di precedenti carri, conducono lo sguardo verso il soggetto principale. Le linee delle fenditure sono bilanciate da altre linee sulla sinistra. Dovrebbe trattarsi di lastre di metallo per spazzare la neve, ma non ne sono sicuro, si vedono soltanto i contorni e la superficie superiore. La foto sembra un quadro, eppure il gioco dei punti di fuga e delle linee dei solchi verso la carrozza, la rendono così contemporanea, che se ci fossero le auto, potremmo indubbiamente pensare alla New York del 2000. Alfred in fatto di composizione è un maestro.
E’ tra i primi a dare vita al Pittorialismo, corrente artistica che con un sapiente lavoro creativo, mira ad elevare la fotografia al pari della pittura.
Si divertiva, con l’autorità che si ritrovava, ad esporre in maniera quasi logorroica le sue convinzioni. Paul Strand, il suo pupillo, raccontava che Stieglitz era capace di parlare per ore senza mai essere interrotto. A volte “collassava” letteralmente gli ascoltatori, era uno di quelli che non amava essere contraddetto. A New York se piacevi a lui, come artista, era fatta.
La 291 era, infatti, frequentata dai vip e dagli artisti dell’epoca. Nei suoi locali hanno esposto Cezanne, Matisse, Burque e tanti altri.
Stieglitz cercava di porre l’America in relazione con le avanguardie europee. Ebbe un ruolo determinate non solo nel magnificare la fotografia come mezzo per produrre arte, ma anche nella formazione culturale di tutta l’arte americana.
Affacciandosi dalla finestra della 291 è possibile ammirare degli spettacoli mozzafiato.
Fuori della finestra si illumina un mondo. Un sovrapporsi di grattacieli come cubi, quasi in ordine crescente. Tanti piccoli quadratini riempiono le facciate dei solidi con delle ripetizioni tali da formare una texture: sono le finestre illuminate dei palazzi della grande mela.
From the back window, “291” di Alfred Stieglitz è stata scattata, guardando fuori della sua mitica galleria, magari prima di chiudere, dopo una giornata di lavoro, osservando i grattacieli che, in quegli anni, a New York spuntavano come funghi.
Nell’immagine dimostra di aver compreso i segreti del cubismo; se non fosse per quei panni stesi, potremmo considerare la foto un capolavoro di arte astratta. Già! Panni stesi a Mhanattan non ne avevo mai visti.
Il giovane Holden, nel romanzo scritto da Salinger, si chiedeva dove andassero le anatre, quando il laghetto del Central Park gelava. Una domanda esistenziale, da eterno adolescente, disarmante, quanto carica di significato, soprattutto in un mondo vorace, dove ha senso solo l’etica del successo. Guardando le foto di New York, io mi sono sempre chiesto dove stendessero i panni gli abitanti dei grattacieli e, nel porre la domanda, mi facevano notare che in parte ero condizionato dal romanzo di Sallingher. Forse è vero, ma Stieglitz con questa foto ha realizzato un capolavoro, e non mi riferisco alla soluzione ad uno dei miei quesiti adolescenziali, ma alla capacità di saper conciliare le grandi avanguardie europee, come il cubismo, con la tradizione documentarista americana, espressa da una fila di panni che aspettano il giorno per essere raccolti e stipati nei cassetti. Un gesto semplice e quotidiano che rivela la vita tra i cubi, il pulsare di umanità tra i grattacieli.
Stieglitz era così sicuro dei suoi mezzi e del suo contributo all’arte da essere stimato e temuto nell’ambiente. Tutti gli artisti andavano in “pellegrinaggio” da lui a chiedere consigli, a sperare di esporre nella sua galleria o ad avere una piccola vetrina nella rivista Camera Work, edita insieme all’amico Steiker.
Intellettuale influente, logorroico, sarcastico e snob a tal punto che il suo scatto più intimamente legato ad una funzione di denuncia sociale è ripreso dalla prima classe. Siamo su una nave, guardando The Steerage ci accorgiamo di come sono ammassati i passeggeri di terza classe. Noi siamo in prima, si tratta di uno scatto dall’alto. L’autore, commentando l’immagine, diceva che nel guardarli sentiva pena, voleva scendere, stare con loro; voleva, appunto, ma non lo fa. Come noi che guardiamo un’immagine cruda, magari una di quelle che arrivano dal Terzo Mondo, vorremmo fare qualcosa, come Stieglitz, però ci limitiamo a guardare dalla prima classe e sentire di voler essere con loro, ma siamo e rimaniamo pur sempre nel nostro comodo mondo, con un biglietto di prima.
Una delle cose più belle di Alfred sono i ritratti alla moglie Georgia O’Keefee. L’artista l’ha fotografata in ogni modo possibile e immaginabile: nudi, volti, mani che si contorcono. Aveva per quest’ultimo soggetto una vera e propria fissazione. Chiedeva sempre alla moglie o alle sue modelle, dopo aver scattato alcune foto, di giocare con le mani. Per Stieglitz le mani sono un semplice piacere di forme artistiche, come in Hands and thimble; per la Lange indicano qualcosa di più, nelle loro linee c’è scritto il destino: la vita, l’amore, la fortuna. Ma tutto ciò è già un altro articolo.
Diego Pirozzolo
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