Il glottobiologo Rinaldo Longo è uno studioso che ha meritato la stima di Gerhard Rohlfs, di Walter Belardi e di altre autorità nel campo della linguistica. Un suo studio fu finalista ad un concorso indetto dall’Accademia dei Lincei. Ha molto pubblicato, in particolare nel campo della dialettologia e in quello dei rapporti tra mente, cervello e linguaggio. Il saggio che presentiamo risale ai primi anni 80 del secolo scorso ed è ripreso dalla rivista “La Tela del Ragno” ( Attività culturale e lavoro critico. Anno II, n. 2, Gennaio-Marzo 1984). Si tratta di un lavoro che riteniamo di grande importanza nel campo degli studi glottoantropologici e quel che più conta dal valore storico per la data di apparizione. È attualissimo per quanto riguarda l’impostazione teorica di una disciplina da lui definita glottobiologia (in aderenza alla sociobiologia), la quale ingloba gli studi sui fondamenti biologici del linguaggio con l’apporto della linguistica, della biologia e delle neuroscienze. Nel saggio vengono esposte le basi teoriche e filosofico-scientifiche della disciplina stessa.
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Con questo scritto si vuole richiamare l’attenzione sulla necessità della fondazione di una disciplina autonoma, la glottobiologia, che studia i fondamenti biologici del linguaggio, accanto alla sociobiologia, che studia i fondamenti biologici della vita associativa. Quel che dirò, a me sembra, può valere come premessa per tale fondazione, e appare chiaro che, per il nome che si è ipotizzato di dare a questa nuova disciplina, i principi e le tecniche di indagine le dovranno venire principalmente dalla linguistica e dalla sociobiologia umana. Il linguista non può ignorare quanto ci viene dalla sociobiologia. Esiste già, è vero, una visione sociologica del linguaggio e della lingua e, se si vuole, un approccio con la lingua sub specie societatis: gli studi non mancano in ambiente americano e in ambiente europeo, Italia compresa (1). La sociolinguistica però si occupa in particolare della varietà della lingua, di quella varietà che trova la sua origine nella società, mettendo in risalto i rapporti tra mutamenti linguistici e mutamenti sociali (2), mentre la glottobiologia deve studiare, come ho detto, i fondamenti biologici del linguaggio, quindi gli eventuali fondamenti biologici delle varietà linguistiche, mettendo in risalto i rapporti tra mutamenti biologici e mutamenti linguistici.
Le premesse per la fondazione di questa disciplina mi auguro siano leggibili nelle considerazioni che andrò facendo.
Punto di partenza della glottobiologia non vuole essere la voglia di sostenere il “biologico” contro il “sociale”, l”innato” contro “l’appreso”, il “genotipo” contro il “fenotipo”, ma di approfondire la ricerca linguistica tenendo conto anche degli apporti della biologia.
È proprio dalla biologia che sappiamo come circa 650 milioni di anni fa comparvero sulla terra i metazoi, organismi pluricellulari le cui cellule “si specializzarono” e si ripartirono il lavoro fisiologico (3). Alcune di esse divennero capaci di trasmettere stimoli alla parte muscolare. Nel corso del tempo poi questi esseri semplici si sono trasformati in esseri sempre più complessi, sino a diventare gli uomini di oggi. Tale evoluzione, “trasformando nell’uomo attuale i primi esseri apparsi sulla Terra, ne ha trasformato il sistema nervoso e le funzioni neuropsichiche (il moto, la parola) che da tale sistema dipendono” (4). Ora, secondo Renato Balbi, l’evoluzione dell’individuo (ontogenesi) ricapitola l’evoluzione della specie (filogenesi), e tale “assimilazione tra filogenesi e ontogenesi (dopo la nascita) va fatta solo per ciò che riguarda le strutture preposte al comportamento e non il comportamento in sé” (5). Infatti, “tutti noi – egli dice – possediamo predisposizioni funzionali, ma al tempo stesso saranno gli stimoli esterni – diversi ovviamente, per ciascuno di noi – a far mutare le funzioni, cioè a dare forma al nostro comportamento” (6).
In particolare i sociobiologi ritengono la comparsa del linguaggio nella evoluzione della specie (filogenesi) come il momento del passaggio psichico dagli esseri non-umani all’uomo, mentre – essi dicono – nella storia dello sviluppo dell’individuo da cellula ad organismo maturo (ontogenesi) la comparsa del linguaggio segna l’inizio di quella capacità che l’uomo ha di poter formare nella propria corteccia associativa (cervello) un numero indefinito di strutture informazionali, capaci di rappresentare se stesso nell’ambiente (7).
La linguistica contemporanea (8) riconosce e distingue differenti funzioni del linguaggio ed è concorde con la sociobiologia nel ritenere che “la funzione comunicativa è la funzione primaria, originale e fondamentale del linguaggio”.
Ora, la cultura è il risultato del linguaggio (9), la cultura è nel linguaggio, la cultura è il linguaggio stesso e questa “nostra capacità di avere una cultura è geneticamente determinata, e, […] , tale determinazione genetica è la più importante caratteristica della specie umana” (10).
Col linguaggio “i comportamenti sociali umani cessano di sottostare al controllo genetico” (11).
Intanto recenti studi sul cervello vanno dimostrando che la fondamentale funzione di quest’organo è quella di fornire ad ogni individuo i mezzi di trasferimento di informazioni, preservando così l’individuo stesso e mantenendo quella continuità che è la vita stessa dell’uomo e della sua specie. “Bisogna ricordare – dice D. S. Halacy, rifacendosi ad Alfred Russel Wallace e a W. Tschernezky – che il cervello è l’organo della sopravvivenza e che la memoria, fondamentalmente, non è che uno strumento ausiliario in questa direzione” (12).
Questi studi ci chiedono di accettare che esiste un legame indissolubile tra il bisogno che ha l’uomo di mantenere la continuità della sua entità individuale e quello di essere in grado di sfruttare le sue intrinseche capacità di produrre il linguaggio (13). Infatti, “la funzione biologica dello sviluppo è quella di fornire ad ogni singolo individuo i mezzi necessari ad affrontare le sue condizioni di vita. L’ambiente occupa un ruolo vitale nello sviluppo, che procede attraverso una serie di interazioni, ciascuna delle quali coinvolge un fattore ambientale. Anche lo sviluppo del linguaggio può essere visto sotto questa dimensione. Serve all’individuo per affrontare la vita adulta ed è molto sensibile alle influenze ambientali” (14).
Il linguaggio dunque è una determinazione genetica e consiste prima di tutto nella “realizzazione vocalica della tendenza a vedere simbolicamente la realtà” (15). I fatti del linguaggio poi constano di unità basi chiamate segni. È segno linguistico la combinazione di due costituenti che sono il concetto e l’immagine acustica. Ora è pur vero che nella formulazione di un concetto occorre la parola simbolo, ma nulla vieta di usare un simbolo qualunque. L’uso di certi simboli è solo in funzione della comunicazione, ha una finalità pratica quindi. Da ciò deriva che senza la parola simbolo non esiste l’idea; la concettualizzazione avviene attraverso il segno linguistico convenzionale, sia esso fonico o grafico.
Ma il pensiero, e quindi il segno linguistico, non ha solo una forma fonica, ne ha anche una visiva (la scrittura) per far durare nel tempo il ricordo, la testimonianza e anche l’efficacia delle parole. Vi sono comunque popoli che non conoscono la scrittura. Presso questi popoli era ed è tenuta in conto fondamentale la memoria, sola testimonianza delle tradizioni e del sapere della tribù. Si pensi a tal riguardo anche un po’ alla Civiltà pre-omerica in Grecia. È una vera e propria civiltà orale in cui la poesia con il suo metro ad il suo ritmo ha avuto una grande funzione.
La prima forma di scrittura a noi nota nasce a Sumer circa 5.000 anni fa. Tale data coincide con quella del sorgere della storia.
Ma vediamo un pò cosa c’è dentro i fatti di linguaggio. In essi Ferdinand de Saussure nel suo Corso di Linguistica generale distingue una sostanza linguistica e una forma linguistica: sostanza intesa come atto individuale (parole) e forma intesa come sistema di segni cioè di valori relazionali (langue). I costituenti del segno – egli dice – in quanto forma sono il significante, cioè l’espressione linguistica e il significato, cioè il concetto, l’idea che l’informa.
Parecchi linguisti sono tesi a superare la desaussuriana antinomia fra parole e langue facendo coincidere la soggettività espressiva con la stessa storicità dell’individuo (16); si viene così a dare importanza alla scelta operata dal singolo nel mezzo, cioè la lingua, fornitogli dalla società, e all’attività del singolo, dalla quale ha pure inizio ogni innovazione.
Sarebbe interessante a tal proposito addentrarci in considerazioni sullo stile, ma non è proprio questo il tema della nostra trattazione, per cui ritorniamo per un po’ al significato e diciamo che si è andata sviluppando una scienza del linguaggio chiamata Semantica, di cui allo stato attuale si hanno varie introduzioni teoriche, la maggior parte delle quali si basano sulla formula di Wittgenstein, che afferma che il senso (il significato) risulta dall’uso del segno linguistico o dalla totalità dei suoi usi (17). Chi chiarisce bene questo orientamento è Tullio De Mauro. Egli sostiene che non sono le parole e le frasi a significare, ma che “solo gli uomini, invece, significano mediante le frasi e le parole” (18), che non nelle forme linguistiche in se stesse, ma nella società che le adoperano sta la garanzia del significato” (19) e che lo sviluppo della scienza dei significati passa attraverso “la studio delle relazioni tra forme linguistiche, funzioni semantico-sintattiche e organizzazioni sociale e culturale” (20).
Eugenio Coseriu (21) per superare la citata aporia di sincronia e diacronia considera il linguaggio in generale e il linguaggio in quanto parlare come enèrgeia nel senso voluto da Humboldt, che ricalca poi il concetto della enèrgeia aristotelica, che è attività che procede dalla potenza (dynamis), cioè l’attività creativa, l’attività libera (22), e conclude dicendo che il linguaggio “pertiene all’essenza stessa dell’uomo, in quanto soltanto l’uomo può agire liberamente” (23).
Ma perché il linguaggio è fondamentale per la definizione dell’uomo? Coseriu risponde che un sapere tecnico concernente le “cose” è possibile anche senza linguaggio (di un sapere siffatto dispongono anche gli animali), ma che senza linguaggio non è possibile la scienza, l’epistème. Solo tramite il linguaggio “può essere mediato il che cosa delle cose” (24). Il linguaggio quindi per Coseriu “da un lato è logos, concepimento dell’essere; dall’altro è logos intersoggettivo, forma ed espressione della storicità dell’uomo. L’uomo vive così in un mondo linguistico che “egli stesso, in quanto essere storico, crea” (25).
È interessante a questo punto far notare che spesso si dice che lo sviluppo della facoltà del linguaggio da parte della specie umana ha reso possibile la sostituzione, come fattore dominante del nostro sviluppo, dell’evoluzione biologica, che opera sui geni, con “l’evoluzione culturale” operante sulle menti, ma chi ci potrà dire in che misura ciò è avvenuto? Non è l’evoluzione biologica che, operando sui geni e permettendo la specializzazione delle cellule cerebrali, ha in definitiva operato sulla mente, rendendola, sulla linea filogenetica, capace di produrre il linguaggio, e quindi la cultura, e sulla linea ontogenetica, disponibile agli influssi dell’ambiente esterno e quindi dell’evoluzione culturale? E se l’ambiente esterno e l’evoluzione culturale hanno operato ed operano attraverso la mente e direttamente sui geni provocando un’evoluzione biologica, non è questo dovuto alla predisposizione dei geni ad evolversi?
È da supporre che l’evoluzione culturale può agire sui geni proprio perché essi sono predisposti ad evolversi e non perché essa, la cultura, partorisca dentro di sé la forza di poter far evolvere il gene, che anzi se predisposizione e forza essa ha in questo senso, questa corrisponde all’enèrgeia del linguaggio che è frutto dell’enèrgeia genetica.
In definitiva, forse evoluzione culturale ed evoluzione genetica sono due manifestazioni, che si influenzano vicendevolmente, dell’enèrgeia del Verbo (parola per eccellenza, Dio), ed è solo non avendo il timore di muoversi verso quella che Rosallina Balbi chiama una salutare “contaminazione” tra “innato” ed “appreso”, tra natura e storia, tra biologia e società, che i “valori” appresi si imporranno sulle spinte biologiche verso una condotta acritica e imitativa: chi “sa di non voler uccidere non si farà mai coinvolgere in un linciaggio” (26).
Rinaldo Longo *
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NOTE
(*) Delle pubblicazioni scientifiche di Rinaldo Longo si ricordano in particolare:
– Donde il nome a Corigliano, A.G.J., Corigliano Cal., 1975. (saggio filologico-linguistico). Diploma di segnalato per la saggistica al Premio Letterario“Tina De Rosis”1975, Corigliano C.;
– Il dialetto coriglianese ed i miracoli di San Francesco di Paola, A.G. J., Corigliano Cal. 1978. (Saggio filologico-linguistico nell’ambito della dialettologia culturale). Gerard Rohlfs vi ha visto “ottime ed interessanti osservazioni sulla situazione linguistica”. Giudicato in modo molto positivo da G.Battista Pellegrini, Alberto Vàrvaro, Massimo Pittau, Vittore Branca. È stato richiesto dall’Archivio Glottologico Italiano. È stato segnalato dall’Accademia dei Lincei.
– Con la glottobiologia verso i fondamenti biologici del linguaggio, “La tela del ragno”, Corigliano Cal., 1984. (Saggio linguistico sui fondamenti biologici del linguaggio);
– Le analogie tra Argentano e Argentan, in “Avvenire” , 18 aprile 1985, e in “Ouest-France”, Rennes (Francia), 22 agosto 1986. (Saggio a carattere linguistico-diacronico);
– Arte figurativa contemporanea a Corigliano Calabro, “Il Seme”, Corigliano Cal. 1997. (Saggio di critica d’arte condotto su base linguistico-semiotica);
– Poesia, scienze del linguaggio e discipline sociali, Albatros ed.,Corigliano Cal., 2a ed., 1998; Ia edizione R.L., San Marco Arg. 1994. (Saggio di argomento linguistico e semiotico sulla origine del linguaggio e della poesia);
– L’esperienza futurista di Luigi Gallina, “Il Serratore”, Corigliano Cal. 1997. (Saggio linguistico-semiotico su un artista e letterato futurista italiano tra i più emblematici);
– Appunti su poesie dialettali di Antonio Ungaro, “Il Serratore”, Corigliano Cal. 1998. (Saggio linguistico-letterario);
– S. Nicola nell’antico poema francese Vie de Saint Nicolas (1140 – 1150) di Robert Wace, Ed. R.L. e Centro Studi Nicolaiani , San Marco Arg. 1998. 2° ed. Novembre 2005. (Saggio linguistico-storico-letterario);
– Juri, Tecnostampa, Corigliano Cal. 1999. (Poesie di varie letterature straniere in traduzione dialettale e altre originali in dialetto coriglianese). Giovanni Sapia, Rettore dell’Università Popolare di Rossano, ritiene il testo “un servizio d’amore alla lingua dei padri” ed un “vero ed onorevole contributo alla identità, del tutto fuori da tante sciatterie che si commettono in suo nome”.
– Spagnolo e coriglianese a confronto. (Selezione di un lessico per lo più non riscontrabile in italiano). Documento 3 del Progetto “Corigliano 2000”: Ricerca linguistica sulla parlata coriglianese, R.L., San Marco Argentano 2003;
– Glottobiologia e bioetica, Ed. R.L., San Marco Argentano, Nov. 2005;
– Note sulla fonetica e sulla trascrizione del dialetto acrese, in Pasquale D’Auria, Scritti, (a cura di Franco Plastina e Michele Reale), Fondazione Francesco Maria Greco, Acri 2006, pp.39-43;
– Il Processo cosentino di San Francesco di Paola. Il ruolo dell’emozione e il problema della trascrizione durante la raccolta delle testimonianze. (In appendice alcune canzoni originali su San Francesco di Paola), Ed. R.L., San Marco Argentano 2007.
Su Internet dal 2007 al 2011
articoli correlati con lo studio qui presentato:
– La rete neurale CADIE: una speranza, una rassegnazione o un’anticipazione?
– Futurismo. Futuro del Futurismo e Luigi Gallina
– XLII Congresso Internazionale della Società di Linguistica Italiana
– Per Codice Edizioni la scienza è cultura e ha bisogno di essere raccontata
– Il processo cosentino di Frate Francesco di Paola
(1) Tra i primi e più validi linguisti italiani che abbiano indagato sui rapporti tra linguaggio e società vi è il compianto Antonino PAGLIARO (cfr. A. PAGLIARO e Tullio DE MAURO, La Forma linguistica, Rizzoli, Milano 1973, pp. 138-167). Non si può comunque dimenticare il contributo di Gaetano BERRUTO nella costituzione di una solida base teorica alla sociolinguistica italiana (cfr. Gaetano BERRUTO e Monica BERETTA, Lezioni di sociolinguistica e linguistica applicata, Liguori, Napoli 1980; G.
BERRUTO, La sociolinguistica, Zanichelli, Bologna 1974. Sono testi che comprendono un’ampia bibliografia al riguardo). [↑]
(2) G. BERRUTO e M. BERETTA, op. cit., p. 32. [↑]
(3) Renato e Rosellina BALBI, Lungo viaggio al centro del cervello, Laterza, Bari 1981, Club del Libro, 1982, p. 8. [↑]
(4) Idem. [↑]
(5) Ibidem, pp. 9-10. [↑]
(6) Ibidem, pp. 113-114. [↑]
(7) Luciano GALLINO, Oltre il gene egoista, in AA.VV., Sociobiologia e Natura Umana, Einaudi, Torino 1980, pp. XLIII, XLIV; Roger GOURNEY, Pensiero e parola. Interazione fra cervello e linguaggio, Zanichelli, Bologna, 1975, pp. 37-56. Su presupposti biologici e psichici del linguaggio si legga anche G. FRANCESCATO, Il linguaggio infantile, strutturazione e apprendimento, Einaudi Torino, 1970, pp. 30-88; sulla maturazione di certi centri cerebrali preposti al linguaggio si legga E. LENNEBERG, The genesis of language, 1956, pp. 243 e seguenti; quest’ultimo e fondamentale lavoro fu ripubblicato col titolo Biological Foundation of Language, John Wiley & Sons, New York, 1967, del quale esiste la traduzione in italiano, eseguita sul testo originale con presentazione di Domenico PARISI, ediz. Boringhieri, Torino, 1982 (19711). Sull’origine del linguaggio, su suoni da considerare più originari di altri e su una concezione di struttura stratificata dal linguaggio si legga Roman JACOBSON, Il farsi e il disfarsi del linguaggio. Linguaggio infantile e afasia, Einaudi, Torino 1971, particolarmente le pp. 95-97. E’ un libro molto importante per quanto riguarda lo studio delle aree funzionali della corteccia cerebrale responsabili dei diversi tipi di disordini del linguaggio e contiene un’interpretazione e classificazione sul piano linguistico di tutto l’istruttivo materiale contenuto nelle pubblicazioni dello psicologo, psichiatra e neurolinguista russo A. R. LURIA. [↑]
(8) Georges MOUNIN, Guida alla linguistica, Feltrinelli Milano 1974 pp. 61-62; André MARTINET, Elementi di linguistica generale, Laterza, Bari 1977, pp. 16-17. [↑]
(9) S. L. WASHBURN, Comportamento animale e antropologia sociale, in AA.VV., Sociologia e natura umana, op. cit., pp. 91-94; cfr. anche J. A. FISHMAN, Sociologia del linguaggio, Officina ediz., Roma 1975, pp. 223-240. [↑]
(10) Marvin HARRIS, Tra ereditarietà e cultura, in AA.VV., Sociobiologia e natura umana, op. cit., p. 155. [↑]
(11) WS. L. WASHBURN, op. cit., p. 79. [↑]
(12) D. S. HALACY (jr.), L’uomo e la memoria, Garzanti, Milano 1975, p. 53. [↑]
(13) Cfr. Luciano GALLINO, op. cit., p. XLVI. [↑]
(14) Roger GOURNEY, op. cit., p. 72. [↑]
(15) Edward SAPIR, “Language”, Encyclopedia of the social sciences, 1933, pp. 55-58. Cfr. a tal riguardo anche Carla SCHIK, Il linguaggio, Einaudi, Torino, 1960, pp. 26-27. [↑]
(16) Cfr. Benvenuto TERRACINI, Lingua libera e libertà linguistica, Einaudi, Torino, 1970, in particolare le pagine 153-154 e nota 27. [↑]
(17) La formula è ripresa dal MEILLET e da E. BENVENISTE. [↑]
(18) Tullio DE MAURO, Introduzione alla semantica, Laterza, Bari 1965, p. 29. [↑]
(19) Idem. [↑]
(20) Ibidem, p. 82. [↑]
(21) Eugenio COSERIU, Teoria del linguaggio generale, sette studi, Laterza, Bari 1971, p. 8 e ss. [↑]
(22) Coseriu usa libero nella sua accezione filosofica. [↑]
(23) E. COSERIU, op. cit., p. 10. [↑]
(24) Ibidem, p. 15. [↑]
(25) Ibidem, p. 17. [↑]
(26) Renato e Rosellina BALBI, op. cit., p. 114. [↑]