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L’opera di Marino Marini tra Pistoia e Seoul

Pistoia e Seoul, due città geograficamente molto distanti l’una dall’altra, da qualche settimana hanno qualcosa che le accomuna e che si riferisce al mondo dell’arte. Nei due importanti centri, infatti, sono state allestite due grandi mostre per celebrare l’artista Marino Marini, uno dei protagonisti dell’arte del Novecento.
In Corea il National Museum of Art Deoksugung di Seoul, in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia e l’Istituto Italiano di Cultura, ha realizzato una grande retrospettiva dedicata all’artista italiano.  La mostra  comprende 105 opere di cui 101 prestate dalla Fondazione Marino Marini di Pistoia, 2 in prestito dal Museo San Pancrazio di Firenze e 2 da collezionisti coreani fra cui il Museo Samsung di Seoul.

Si tratta di un evento culturale di grande rilievo in quanto Marino, artista molto amato e conosciuto in Corea, non era mai stato presentato in maniera completa in questo Paese.

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A sottolineare l’influenza di Marino, a lato della mostra monografica, è stata allestita una esposizione di otto importanti artisti coreani che si sono ispirati all’artista italiano.
La mostra resterà aperta fino al 22 Aprile 2007.

In Italia, invece, al Museo Marino Marini di Pistoia è stata allestita la mostra Cavalli e Cavalieri, a cura di Maria Teresa Tosi – testo in catalogo di Lucia Gai -, che sarà possibile visitare fino al 30 settembre 2007.
Si tratta del quarto evento realizzato nell’ambito del programma, avviatosi nel 2003, che ha inteso sviluppare, attraverso una serie di rassegne monografiche, la conoscenza di alcuni temi fondamentali della ricerca artistica di Marino Marini.

Le figure del cavallo e del cavaliere sono, più di ogni altra tematica affrontata dall’artista, l’emblema indiscusso della sua poetica e della sua ricerca figurativa: un soggetto che comincia a nascere agli inizi degli anni ’30 e che diventerà per lui, dopo le tragedie della guerra, il simbolo di una società sofferente e di un pessimismo assoluto sulla sorte del mondo.
Le prime figure equestri sono attraenti, classicheggianti e quiete, ben lontane dalle figure che Marino rappresenterà dopo l’esperienza della guerra. Man mano che Marino elabora il tema del cavallo e cavaliere le superfici una volta tese e lisce si spezzano, l’uomo e l’animale si trasformano in strani fossili e le forme, una volta naturalistiche e ben riconoscibili nelle loro volumetrie vicine al vero, se ne allontaneranno avvicinandosi all’astratto con volumi tagliati, angoli acuti e drammaticamente tronchi, simboli di un mondo che comincia a svanire o meglio di un mondo che è destinato a svanire per sempre.

Tali e tante sono state le variazioni e le evoluzioni sul tema del cavallo e del cavaliere che pur restando sempre fedele alla personalissima espressione dell’artista, questo soggetto è assurto a vero e proprio simbolo dell’arte di Marino.

La mostra, come sempre allestita nelle sale del Palazzo del Tau lungo il percorso museale, presenterà i Cavalli e Cavalieri di Marino sia in pittura che in scultura, riproponendo l’iter espressivo dello scultore dai primi lavori realizzati negli anni giovanili, ai Miracoli fino agli ultimi Fossili ormai ridotti a strutture geometriche. Perché come lui stesso ha dichiarato “non è la mia arte ad essere espressionista, è il mondo stesso che è diventato espressionista…”

La mostra è costituita da circa 80 opere di cui alcune inedite e fra di esse spiccano i 4 bassorilievi in gesso del 1938 che Marino aveva realizzato per l’Arengario di Milano e dove trasmette la sua essenza toscana, attraverso forme che richiamano i pulpiti, le architravi, i simboli e gli animali scolpiti sulle Chiese della sua città, “una città rocciosa” come la definisce il poeta Piero Bigongiari, scolpita nel marmo bianco e verde e nella pietra, terreno ideale per la formazione dell’animo di un artista, eredità illustre e mai davvero dimenticata. Infatti, come scrive il prof. Eric Steingraber in uno dei suoi saggi, Marino ha avuto come Picasso per tutta la vita un dialogo con i testimoni del passato, in quanto potenziale inesauribile di eterne espressioni umane. Egli non cercava il passato che crea la norma, bensì lo specchio del proprio destino. Le sue figure “provengono da un mondo fuori del tempo o arrivano da lontano, dalle più distanti regioni della cultura e della fantasia creativa per essere trasposte nella vita odierna” (Franco Russoli). Ambedue – Picasso e Marino – erano abbastanza forti e disinvolti da poter frequentare tanto i loro antenati quanto i contemporanei viventi.

Biografia


Marino Marini nasce a Pistoia il 27 febbraio 1901. A sedici anni si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dedicandosi in un primo tempo al disegno e alla pittura; alla scultura si avvicina solo a partire dal 1922.
Nel 1929 si trasferisce a Milano, chiamato da Arturo Martini ad occupare la cattedra di scultura presso la Scuola d’arte di Villa Reale a Monza. Dello stesso anno è la prima importante scultura, Popolo, in terracotta, con la quale Marino si rivela al pubblico e alla critica. Nel 1931 realizza Ersilia, una scultura in legno policromo considerata una delle opere fondamentali e nel 1932 presenta a Milano la sua prima personale. La sua opera comincia ad ottenere i primi riconoscimenti importanti con la partecipazione alla
Quadriennale di Roma; alla II Quadriennale nel 1935 vince il primo premio per la scultura. Nel 1936 compare il Cavaliere, un’opera di notevole significato anche per la successiva evoluzione della ricerca, di cui Marino realizza due versioni, una in bronzo ed una in legno, ora in Vaticano. Nel 1938 incontra Mercedes Pedrazzini, che sposa nello stesso anno e che da allora chiamerà affettuosamente “Marina” quasi a sottolineare il legame che li unirà per tutta la vita.
Durante un bombardamento nel 1942 l’atelier di Marino a Monza e il suo appartamento a Milano vengono distrutti ed è costretto a rifugiarsi con la moglie nel Canton Ticino, dove continua a lavorare. Sono questi anni di esilio particolarmente importanti per l’artista: in Svizzera conosce e frequenta alcuni grandi maestri dell’arte contemporanea – Giacometti, Wotruba, Otto Bänninger, Haller, la Richier – la cui opera concorre all’approfondimento dei suoi temi e della sua ricerca.
Continua in questo periodo il ciclo delle Pomone, figure femminili simbolo di fecondità, un tema già avviato nel 1935. Con l’Arcangelo prende forma anche la serie dei Miracoli, opere che scaturiscono dall’angoscia, dal dolore, dalla distruzione che la guerra e la violenza provocano all’umanità e di cui Marino sente profondamente il peso. L’anno successivo al suo rientro in Italia (1947) sarà per lui decisivo: partecipa alla XXIV Biennale di Venezia con una sala personale e, nell’occasione, stringe profonda amicizia con Henry Moore; nello stesso periodo incontra il mercante americano Curt Valentin che lo invita negli Stati Uniti e gli organizza una grande personale a New York ed una serie di esposizioni che contribuiscono a far conoscere la sua opera nel mondo. L’arte di Marino è ormai nella più alta considerazione: nel 1952 ottiene il Gran Premio Internazionale di Scultura alla Biennale di Venezia, nel 1954 il Gran Premio Internazionale dell’Accademia dei Lincei di Roma, nel 1959 esegue la grande composizione equestre, alta ben cinque metri, destinata ad una piazza dell’Aja. Si susseguono poi numerose mostre: a Monaco, Rotterdam, Stoccolma, Copenhagen, Oslo, Helsinki – che culminano con le grandi antologiche al Kunsthaus di Zurigo nel 1962 e in Palazzo Venezia a Roma nel 1966.
Nel 1968 riceve a Göttingen la più alta onorificenza tedesca con la nomina a membro dell’Orden pour le Mérite fur Wissenschaften und Kunst. Nel 1976 alla Nuova Pinacoteca di Monaco di Baviera gli viene dedicata una sala permanente e nel giugno del 1979 nelle sale del Palazzo Comunale di Pistoia si inaugura il Centro di Documentazione dell’Opera di Marino Marini, che raccoglie oltre i disegni e le incisioni, la grande scultura Miracolo ed altre opere di formato minore, una biblioteca specializzata, una fototeca ed una videoteca che documentano la vita e le opere dell’artista.
Marino muore a Viareggio il 6 agosto 1980.

MOSTRE

La Sapienza Università di Roma - Foto di Diego Pirozzolo
Fondazione Roma Sapienza, “Arte in luce” X edizione

LIBRI