Resterà aperta al pubblico fino al 26 giugno 2007 la mostra Goldoni – Strehler, l’Arlecchino, allestita presso la Casa di Carlo Goldoni a Venezia. L’esposizione, organizzata dai Musei Civici Veneziani e curata da Agnese Colle, illustra l’intenso rapporto tra Giorgio Strehler (*) (Barcola, Trieste 1921- Lugano 1997) e l’opera di Carlo Goldoni(**) , nel trecentesimo della nascita.
Spettacolo longevo e giramondo, Il Servitore di due padroni, poi Arlecchino servitore di due padroni nella interpretazione del Piccolo Teatro di Milano, regia di Giorgio Strehler, è entrato nel mito e, in sessant’anni (1947/2007), è stato proposto in undici differenti edizioni e numerose tournée in Italia e nel mondo.
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Il percorso espositivo le documenta attraverso l’accurata impaginazione, curata da Alessandro Paolinelli, di fotografie, manifesti, locandine e programmi di sala , riprodotti in eleganti pannelli nel cortile al piano terra del Museo, mentre al primo piano sono esposti uno straordinario costume di scena di Arlecchino e la maschera in cuoio ideata e creata da Amleto Sartori, appartenuti a Marcello Moretti (Venezia, 1910 – Roma, 1961), il primo grande interprete delle regie strehleriane della commedia oltre a documenti originali integrati da materiali multimediali.
Fu una scelta di emergenza quella dell’Arlecchino nel ’47: la stagione del Piccolo Teatro di Milano, appena fondato, si doveva chiudere con la rappresentazione di un testo italiano e quest’opera era già nota a due degli attori della compagnia. “… Abbiamo messo l’Arlecchino per ultimo – ricorda Strehler nel ’94 – perché allora fare Goldoni significava non avere nessuno a teatro, allora l’abbiamo fatto alla fine della stagione, così … per tre o quattro repliche per l’estate … Ma siamo ancora qui!”. Fu infatti, da subito, un successo clamoroso. L’Arlecchino andò in scena la sera del 24 luglio ed ebbe 14 repliche che si conclusero il 4 agosto; fu poi ripreso tra novembre e dicembre, e ancora nel gennaio 1948.
In sessant’anni, dietro la maschera di Arlecchino di Sartori si sono avvicendati, con poche eccezioni, due soli attori: Marcello Moretti – coautore, insieme a Strehler, dello spettacolo – e Ferruccio Soleri (che oggi si alterna con Enrico Bonavera), ma l’Arlecchino, nelle sue 11 edizioni, ha visto anche la partecipazione di oltre centocinquanta interpreti e il succedersi di diverse generazioni.
Ritenuto lo spettacolo italiano più visto nel mondo e quello di più lunga vita, Arlecchino dunque è anche formazione continua, come del resto negli intenti fondativi del Piccolo Teatro; è un organismo vivo e capace di rinnovarsi in continuazione offrendo, nella visione d’insieme che questa mostra offre, uno spaccato unico dell’evoluzione del teatro italiano del dopoguerra.
* Giorgio Strehler nasce il 14 agosto 1921 a Barcola allora rione di Trieste, luogo d’incontro di lingue e civiltà mitteleuropee (il padre è austriaco, la madre slava, la nonna francese e un altro nonno dalmata…) Nel 1928, dopo la morte prematura prima del padre Bruno, poi del nonno Lovrich, si trasferisce a Milano con la nonna M.P. Firmy e la madre, violinista, dove compie i propri studi presso la scuola Convitto Nazionale Longone. Durante gli anni della scuola si avvicina al teatro di prosa come spettatore, anche se il suo rapporto con il “luogo” teatro è già più che consolidato grazie alla frequentazione assidua avvenuta a Trieste negli anni dell’infanzia grazie al nonno Lovrich, musicista, insegnante al Conservatorio Tartini di Trieste e grande impresario teatrale dei maggiori teatri di Trieste dagli inizi del 1900 al 1925 circa. Nel 1938 Giorgio Strehler si iscrive all’Accademia dei Filodrammatici di Milano, diplomandosi nel 1940. Sono gli anni in cui, a Milano, incontra Paolo Grassi, insostituibile compagno di viaggio nel teatro che lo vede impegnato come attore nelle compagnie di giro. Nel 1941 entra a far parte del Gruppo Palcoscenico diretto da Paolo Grassi. Dal 1943 Strehler firma le sue prime regie. Debutta a Novara con Pirandello, del quale mette in scena tre atti unici L’uomo dal fiore in bocca, All’uscita , Sogno (ma forse no). Negli anni successivi, con il conflitto bellico in pieno svolgimento, Strehler , antifascista dichiarato, si unisce ai gruppi della Resistenza e viene internato nel campo militare di Mürren, in Svizzera. Qui incontra personalità del mondo della politica e della cultura quali Luigi Einaudi, Dino Risi, Franco Brusati, Amintore Fanfani e con una compagnia esclusivamente al maschile mette in scena ancora Pirandello, altri testi come L’imbecille, La patente, L’uomo dal fiore in bocca. Nel 1945 a Ginevra fonda la Compagnie des Masques e, con lo pseudonimo di Georges Firmy (il cognome della nonna francese) firma le regie di Assassinio nella cattedrale di Thomas Eliot e Caligola di Camus. La fine della guerra lo vede però di ritorno in Italia, ormai deciso a fare il regista. Dirige la sua prima compagnia al “completo”, dove ora figurano attori e attrici: Evi Maltagliati, Salvo Randone, Tino Carraro e Franco Parenti. Successivamente lascia la compagnia e in occasione della celebrazione del decennale (1946) della morte di M. Gorkij dirige I piccoli borghesi spettacolo per il quale firma anche l’adattamento . Dal 26 novembre 1946 lo spettacolo va in scena al teatro Excelsior, a Milano, con Lilla Brignone, Salvo Randone, Gianni Santuccio, Marcello Moretti, Mario Feliciani, Franco Parenti. Questo gruppo di attori divenne poi il gruppo iniziale degli attori del Piccolo Teatro che nasce ufficialmente l’anno successivo a Milano, fondatori Paolo Grassi e Giorgio Strehler: è il primo Teatro Stabile d’Italia. Per quella prima stagione le scelte artistiche di cartellone sono: L’albergo dei poveri di Gorkij (spettacolo di apertura), seguono Il mago dei prodigi di Calderon, Le notti dell’ira di Salacrou. Chiude quella prima stagione del 1947 Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, tutti allestimenti con la regia di Strehler. Dal 1947, però, gli sforzi maggiori di Strehler (prima regista stabile, poi direttore artistico, quindi direttore unico) sono essenzialmente per il Piccolo Teatro, dove dirige spettacoli che appartengono alla storia del teatro e della regia. Tra le più di duecento regie da lui firmate sono enucleabili alcuni spettacoli guida quali: Riccardo II (1948), Giulio Cesare (1953), Coriolano (1957), Il gioco dei potenti (1965), Re Lear (1972), La tempesta (1978) per Shakespeare; Arlecchino in tutte le sue versioni (a partire dal 1947) lo spettacolo italiano più visto nel mondo e quello di più lunga vita, La trilogia della villeggiatura (1954), Le baruffe chiozzotte (1964) e Il campiello (1975) per Goldoni; Platonov (1959) e Il giardino dei ciliegi (1955 e 1974) per Cechov; le diverse edizione de I giganti della montagna (1947, 1966, 1994) e Come tu mi vuoi (1988) per Pirandello; El nost Milan (1955 e 1979) e L’egoista (1960) per Bertolazzi; La casa di Bernarda Alba di Garcia Lorca (1955) e, soprattutto, Temporale di Strindberg (1980) per la drammaturgia borghese; La visita della vecchia signora di Durrenmatt (1960), La grande magia di Eduardo De Filippo (1985) per la drammaturgia contemporanea; L’opera da tre soldi (1956), L’anima buona di Sezuan (1958, 1981 e 1996), Santa Giovanna dei macelli (1970) e soprattutto Vita di Galilei (1963) per Brecht, autore che gli rivela un diverso approccio al teatro e alla recitazione. Strehler dirige anche il neonato “Teatro d’Europa” voluto da Jack Lang e da Françoise Mitterand a Parigi. Il suo cursus honorum è del resto lunghissimo: parlamentare europeo, senatore della Repubblica, un lungo elenco di onorificenze, fra cui l’amatissima Legion d’onore. Notevole risulta inoltre l’apporto registico all’opera lirica, favorito dalla conoscenza della musica e dall’ “abilità di saper svecchiare i gesti inseparabili e tradizionali dei cantanti”. Delle tantissime regie sono da ricordare le partecipazioni al Festival internazionale di musica contemporanea di Venezia (Lulu di A. Berg, 1949; La favola del figlio cambiato di G.F. Malipiero, 1952; L’angelo di fuoco di S. Prokof’iev, 1955), al Maggio musicale fiorentino (Fidelio di Beethoven, 1969), al Teatro alla Scala (fin dalla primavera del 1946 con Giovanna d’Arco al rogo di A. Honegger, con Sarah Ferrati), almeno per il Verdi, oltre che della già citata Traviata, del Simon Boccanegra (1971), del Macbeth (1975) e del Falstaff (1980); di Mascagni, della lodatissima Cavalleria rusticana diretta da Karajan (1966); alla Piccola Scala per L’histoire du soldat di I. Stravinskij (1957), Un cappello di paglia di Firenze di N. Rota (1958) e Ascesa e caduta della città di Mahagonny di K. Weill (1964); oltre al lavoro sul prediletto Mozart, condotto attraverso Il ratto dal serraglio (1965) e Il flauto magico (1974) al festival di Salisburgo, Le nozze di Figaro a Parigi (1973), Don Giovanni alla Scala (1987) e la soave leggerezza di Così fan tutte, inno all’amore e alla giovinezza: più che un testamento, un ponte (anche se dall’impalcatura ancora scoperta, a causa dell’improvvisa scomparsa a pochi giorni dalla prima) gettato fra il lavoro di cinquant’anni e il nuovo secolo. Muore nella notte di Natale del 1997: le sue ceneri riposano a Trieste, nel cimitero sant’Anna, nella sobria e discreta tomba di famiglia.
** La vita di Carlo Goldoni si sviluppa tra Venezia – ove nasce nel 1707, a Ca’ Centanni- e Parigi, dove muore nel 1793. Ragazzino dotato di ingegno non comune, manifesta da subito la sua passione per il teatro, così che prestissimo lo troviamo intento a giocare con piccoli teatrini di marionette e, bimbo di appena otto anni, a comporre un suo primo canovaccio teatrale. Le vicende famigliari lo portano spesso a viaggiare per l’Italia: Perugia, Rimini, Modena, Milano…. Non infrequentemente sarà coinvolto in schermaglie militari e in fatti bellici veri e propri. Dopo varie peripezie tra istitutori e collegi, consegue infine, a Padova, la laurea in giurisprudenza nel 1737. Sarà aiuto cancelliere e avvocato, quindi console di Genova in Venezia. Nessuna di queste professioni lo attrae: il suo pensiero e il suo tempo sono sempre rivolti a saziare la sua fame di teatro: legge voracemente gli autori teatrali italiani e stranieri, compone pieces di vario genere (libretti per opere in musica, tragicommedie, drammi, tragedie, satire e intermezzi; poesie). Entra in contatto diretto con il mondo del teatro: impresari, autori, attori e amorose, servette, maschere, organizzatori; dal 1734 al 1743 è al servizio dei Grimani per il teatro di S. Samuele. Nel 1747 conosce l’impresario teatrale Gerolamo Medebach: firma con lui un contratto per il teatro di S. Angelo. Comincia la sua azione di ‘riforma’ del teatro italiano: le sue commedie non saranno più intrecci di maniera, ma veri e ‘moderni’ testi teatrali completamente scritti con le varie parti definite e assegnate, battuta per battuta. Non più scurrilità e intrecci cervellotici, non più battute di repertorio, poche o nessuna maschera: nasce il teatro illuminista e borghese, moderno. Importantissimo per Goldoni il 1750: egli si impegna in una sorta di sfida temeraria: comporre in una sola stagione ben 16 commedie nuove. Se pure al prezzo di una profonda depressione, Goldoni riesce nell’impresa: tra le nuove opere vi sono anche alcuni capolavori come La bottega del caffè. Negli stessi mesi scrive La famiglia dell’antiquario, Il teatro comico, Il Bugiardo. Si susseguono nel decennio successivo opere fondamentali: Campiello, Locandiera, Le donne curiose, La casa nova, I Rusteghi, Sior Todero brontolon, Baruffe chiozzotte (1762). Nel 1762 passa al teatro di S. Luca, proprietà di Francesco Vendramin: oggetto del suo teatro è oramai quasi esclusivamente il mondo borghese, il nuovo e sempre più caratterizzato strato sociale che ha via via soppiantato – per dinamismo, capacità imprenditoriale, sensibilità culturale, gusto della modernità – la vecchia e sclerotica nobiltà tradizionale. Amareggiato dalle polemiche e dalle contestazioni, Goldoni lascia Venezia: l’ultima commedia è una sorta di commiato: Una delle ultime sere di carnovale. Giunge a Parigi nel novembre del 1762; qui vivrà un’ultima e breve stagione di attività e di successi. Vive tra Parigi e Versailles: dal 1771 si dedica a comporre i Mémoires, autobiografia ironica e gustosa, di spirito distaccato e colto. Muore a Parigi il 6 febbraio 1793. L’opera teatrale goldoniana consta di cinque tragedie, sedici tragicommedie, centotrentasette commedie, cui sono da aggiungere, a servizio della musica, due azioni sacre, venti intermezzi, tredici drammi, quarantanove drammi giocosi, tre farse e cinquantasette scenari.