In occasione del secondo centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi questo scritto vuole ricordare alcuni fatti forse meno noti al grande pubblico ma da ritenere di grande utilità per comprendere meglio uno degli avvenimenti più importanti che portarono all’unità d’Italia come l’impresa dei Mille e gli uomini che vi contribuirono o che con questa hanno avuto a che fare.
L’impresa dei Mille, oltre che essere narrata nelle memorie di Giuseppe Cesare Abba (Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei mille(1) ), fu seguita da reporters eccezionali come Friedrich Engels e Alexandre Dumas, padre (1803 – 1870)(2). L’entusiastico reportage giornalistico di quest’ultimo ebbe una grande eco e fu pubblicato in volume col titolo Les Garibaldiens(3) (1861). Questo libro è da considerare il risultato letterario di una parentesi marziale dell’autore, noto essenzialmente per drammi romantici in prosa come Henri III et sa cour (1829), Antony (1831), La Tour de Nesle (1832), e per romanzi storici popolari famosissimi come Les Trois Mousquetaires (1844) e Le Comte de Montecristo (1841-1845), scritti, in verità, in collaborazione con altri, generalmente noti come “negri”, fra cui Maquet e Nerval(4) .
Tale sua parentesi marziale italiana arriva in un momento di crisi del romanzo feuilleton (romanzo d’appendice) e dopo la separazione del binomio Dumas-Maquet (1852)(5).
L’impresa garibaldina e la permanenza a Napoli fino al 1864 serviranno a mantenere impegnato il carattere vulcanico dello scrittore francese. Nella città partenopea, ad impresa ultimata, Garibaldi, a quel tempo col titolo di Dittatore, infatti lo nomina Conservatore dei musei(6) e lì dirige per quattro anni il giornale L’Indipendente, il cui titolo si deve allo stesso Garibaldi(7) . Fu questo il solo giornale che, a detta di Indro Montanelli, darà la notizia della partenza di Garibaldi per Caprera, elencando il contenuto del bagaglio che portò con sé: un sacchetto di sementi, alcuni barattoli di caffè e zucchero, una balla di stoccafissi e una cassa di maccheroni.
Ma, oltre al suo carattere generoso e prodigo, amante dell’avventura, oltre al suo temperamento vulcanico, cos’altro può aver spinto Alexandre Dumas ad essere presente nel Sud d’Italia in un momento decisivo per la rivoluzione del 1860 e quindi per la storia nazionale? Certo questa sua presenza ed il suo operato gli fecero intascare varie cittadinanze onorarie. Interessante andare alla scoperta di quanto dovette sapere, ad esempio, il Consiglio Comunale di San Marco Argentano (CS), allorché nell’anno del Signore 1863, il dì 22 del mese di novembre, deliberò: “L’illustre Alesandro Doumas è dichiarato cittadino di Sammarco Argentano“, “considerando che si devono raccomandare alla gratitudine dei posteri italiani quegli egreggi [sic] uomini che a qualunque nazione appartengono si adoperano a rendere opportuni servigi all’Italia; considerando che i due periodi di tempo abbisognanti di ajuto sono stati per l’Italia la splendida rivoluzione del ’60 ed i giorni nefasti del brigantaggio, considerando che l’illustre Alesandro [sic] Dumas fu appunto uno di quei egreggi [sic], che resero all’Italia il nobile uffizio di aiutare la rivoluzione con ogni sorte di mezzi e d’illuminare la pubblica opinione sulle cagioni del brigantaggio e sui rimedi d’esso“(8) .
Ora noi sappiamo che l’Italia, che aveva affascinato la Francia del XVI secolo per l’eccellenza dei suoi artisti, torna nuovamente ad esercitare una irresistibile attrazione sulla generazione romantica e sul XIX secolo in generale. Paese della bellezza e delle arti, l’Italia diventa per i romantici il paese dell’amore(9). Ma se questo atteggiamento romantico può aver fatto la sua parte anche per quanto riguarda Dumas, altri moventi possono aggiungersi a questo. Al primo posto c’è certamente da mettere la simpatia e l’amicizia che il padre di D’Artagnan aveva nei riguardi di Giuseppe Garibaldi. In più Giuseppe Cesare Abba ci riferisce che “egli è venuto in Sicilia a pigliarsi la vendetta della prigionia fatta patire dai Borboni vecchi al padre suo, generale di Francia, portato dalla tempesta sulle coste di Puglia, mentre tornava ammalato dalla spedizione d’Egitto“(10).
Dunque a Dumas non erano simpatici i Borboni, ma egli amava l’Italia dove venne più di una volta. Visitò la Calabria nell’autunno del 1835 sotto il nome di Guichard(11), non avendo potuto ottenere dalle autorità borboniche il visto d’ingresso proprio per le sue note simpatie per il generale Giuseppe Garibaldi e per i motivi di indipendenza italiani. Era assieme a sua moglie, l’attrice Ida Ferrier(12), e all’amico Jodin, venuto con loro per riprendere con la sua matita schizzi di paesaggi e scene di vita calabrese. La sua ammirazione per la terra di Calabria Dumas la descrisse nel suo Impressions de voyage(13) e della Calabria parlò anche in Le Capitaine Arena (1855)(14) , e Le Speronare(15) , e in Calabria sono ambientati i due romanzi Souvenir d’Antony e Maitre Adam le Calabrais (1840).
Nel 1860, quando Garibaldi è in Sicilia con i suoi Garibaldini, Alessandro Dumas lo raggiunge con il suo yacht e si mette a sua disposizione. Il Generale gli chiede di comperare in Francia dei fucili per i suoi uomini, armi che lo scrittore francese va a comperare a Marsiglia e verrà a consegnargli. Poi va nella rada di Napoli e in quella di Salerno – città occupate dai Borboni -, si mette in contatto con i patrioti, distribuisce armi e manifesti(16) .
Se tanto fece, ci sembra un pò cattivello Sergio Morando che sottolinea questa parentesi garibaldina di Dumas con l’espressione “immaginandosi in buona fede d’aver contribuito all’impresa dei Mille“(17) .
Certo fu un po’ sui generis questa sua partecipazione alla rivoluzione del ’60. Infatti se il 15 giugno di quell’anno è testimone oculare della battaglia di Calatafimi, che narrerà nel suo libro citato Les Garibaldiens, il 1° luglio successivo, alla vigilia della marcia su Caltanisetta, nella sua bella tenda, nella Piana di Santa Caterina, giace estasiato su un tappeto vivo vivo di colori accanto ad una giovane donna bellissima. A quella vista, dice il garibaldino G. C. Abba, “il sangue mi fece un cavallone“, e poi aggiunge: “dunque sotto quella capigliatura da creolo hanno vissuto la loro avventura i tre moschettieri? mi hanno raccontato che Dumas ha nel porto di Palermo una goletta chiamata l’Emma, dal nome della giovane donna che ho veduta… dicono che sia grande amico del dittatore e del colonnello Eber, col quale si saranno conosciuti in Asia. Custodisce la donna sua gelosissimo; non ha che un servo vestito da marinaio; quest’oggi desinerà cogli ufficiali, e sarà bello sentirlo. Ha visto ed immaginato mondi di cose!“(18) .
Più avanti dirà, sempre alla data del 1° luglio: “In gran segreto ho saputo che stanotte muoveremo alla volta di Caltanisetta, dove potremmo essere accolti a schioppettate.
Alessandro Dumas ha fatto levare le tende, e se ne torna a Palermo. Si dice che egli se ne va per aver avuto non so che urto con alcuni dei nostri, che gli troncarono un discorso poco riverente al nome italiano“(19) .
Come che siano andate le cose, noi sappiamo che egli non abbandonerà la causa italiana, farà propaganda per i Garibaldini, distribuirà armi ai rivoluzionari e, a rivoluzione conclusa, resterà a Napoli fino al ’64 con importanti incarichi, come è stato già detto.
Ma c’è un altro aspetto dell’attività di Dumas che riguarda il meridione italiano, ed è il suo interesse per il fenomeno del brigantaggio, per le cause che lo determinarono e per i mezzi per eliminarlo.
Già nel 1845 con il suo romanzo Masaniello egli attualizza l’antica storia dell’insurrezione popolare del 1647, capeggiata dal pescatore napoletano Tommaso Aniello, e contribuisce a richiamare l’attenzione sulla importanza che poteva avere dal punto di vista politico l’energia, allora latente, dei lazzaroni in quegli anni che apparvero tanto turbolenti dal punto di vista politico(20) .
A dire il vero il fenomeno dei lazzaroni e del banditismo in genere, nel Sud d’Italia, interessò coloro che qui compirono viaggi sin dal 1671 e diventò poi un luogo comune nel periodo romantico(21) .
Si nota negli scritti di Dumas viaggiatore un’intensa simpatia per il Sud europeo e quindi per l’Italia meridionale(22) . Ma caratteristica importante è che egli è realista sul problema dei briganti. Lo si coglie, per esempio, quando parla di Ciccilla (Marianna Oliverio), una brigantessa delle contrade della Calabria Citeriore, la più celebre di tutto il Sud, donna la cui storia può aiutare a capire le tensioni e le violenze che segnarono la stagione del brigantaggio postunitario in Calabria(23) .
Certo meritano di essere approfondite le annotazioni di A. Dumas sui briganti e confrontate con quelle di Auguste de Rivarol e Stendhal, quando questi pongono i calabresi sullo stesso piano di quei popoli che, vedendo occupare le proprie terre, si ribellano e lottano per scacciare l’usurpatore(24). Si tratta di una realtà molto vicina a quella che scoprirono gli autori romantici calabresi come Vincenzo Selvaggi, Domenico Mauro, Biagio Miraglia, Vincenzo Padula. “Quei romantici – dice Raffaele Sirri – scoprirono il bruzio, che è come dire che scoprirono l’essenza calabrese che ha sostanziato tutte le ribellioni, i silenzi e le esplosioni irrefrenabili; la ferocia e la cortesia, lungo il corso di una storia che non è mai stata la sua storia, dai tempi di Pirro e di Annibale. Realtà bruzia eroica e mitica, come verità di fondo“(25) .
Forse è proprio a questa verità che deve essere collegato il fatto che alla fine degli anni sessanta del secolo XIX il brigantaggio era stato effettivamente debellato. Purtroppo non ne furono debellate le cause e le conseguenze, se qualche decennio dopo, “Nitti – come fa notare Indro Montanelli – scriveva che per il ‘cafone’ non c’era alternativa: ‘o emigrante o brigante’. ma può diventare insieme l’una cosa e l’altra. Il gangsterismo americano lo dimostra“(26) .
Ritornando a Dumas c’è da aggiungere che Luciana Serafino sostiene che egli comprende che tale definizione di brigante deriva da una strumentalizzazione a livello politico, “poiché l’autorità durante il dominio borbonico, non può riconoscere in loro degli oppositori al modo di reclutare popolazioni intere per la difesa di un regno a cui le regioni meridionali erano state assoggettate“(27) . “D’altra parte – aggiunge la Serafino – la storia parla chiaro: tutti coloro, che per motivi politici erano costretti a rifugiarsi nei boschi e che difendevano a loro modo i luoghi nativi, si ponevano tra i clandestini e divenivano, di conseguenza, i fuorilegge per eccellenza. Tale fenomeno a suo tempo, nel Nord d’Italia, assumerà la definizione di ‘resistenza’, nel sud ‘brigantaggio’. L’aspetto negativo è che Dumas, anche in quell’accasione avvolge il tutto in un tono paternalistico che fa dimenticare lo scopo per cui ha intrapreso a scrivere romanzi“(28) .
Certamente Garibaldi invece non dimenticò mai lo scopo per cui intraprese la conquista del Sud, per questo egli mostrò grande rancore, in una seduta del I Parlamento dell’Italia Unita, in aprile 1861, nei confronti di Cavour per l’ingiusto trattamento riservato ai volontari garibaldini che avevano conquistato le Due Sicilie. Molti di questi garibaldini, ex borbonici, come Pietro Monaco, morirono poi briganti (vedi nota 23).
Rinaldo Longo