s.t. foto libreria galleria di Roma presenta, in una mostra a cura di Benedetta Cestelli Guidi, che resterà aperta al pubblico dal 12 dicembre 2008 all’ 1 febbraio 2009, il lavoro della fotografa italo-tedesca Eva Sauer.
L’esposizione propone una selezione di fotografie – venti stampe a colori, nei due formati 30×30 e 80×80 – frutto dei progetti su cui l’artista sta attualmente lavorando, centrati sul paesaggio urbano: immagini, per lo più, di spazi antropizzati, in cui risaltano l’attenzione per l’architettura e per il paesaggio.
Utilizzando una Hasselblad 6×6, Eva Sauer registra il territorio durante i suoi spostamenti tra nord e sud, tra est ed ovest: dal porto di Amburgo alla costa atlantica del Portogallo, dai paesaggi boschivi della Foresta Nera agli edifici non finiti che puntellano la nostra penisola.
Le sue immagini non appaiono riconducibili all’ambito della fotografia documentaria che ha cari gli ambienti industrializzati, quale quello caratteristico della scuola tedesca erede della lezione dei coniugi Becher. Sebbene anch’essa di Dusseldorf – dove i Becher hanno educato più generazioni di artisti all’Accademia di Belle Arti- la Sauer ha preferito studiare all’Accademia di Amburgo, segnando così da subito il suo distacco da quella tradizione: a una ricerca centrata sulla ricognizione per tipologie di edifici, di spazi e di contesti, ha preferito dunque un lavoro che punta ad una resa enigmatica e fantastica della realtà. Il raffinato uso del colore e la calibratura delle luci – la strada illuminata da un fascio di luce compatto e potente durante la notte, l’edificio retro illuminato dalla luce calda degli ambienti domestici, l’alba che ritaglia i contorni degli edifici industriali del porto di Amburgo – svelano la matrice romantica della fotografa italo-tedesca, che proprio nella resa del paesaggio si esprime al suo meglio.
Per Eva Sauer, la trasfigurazione del quotidiano in possibili mondi fantastici è prediletta alla pura registrazione: le sue fotografie sono un susseguirsi di istanti enigmatici, di sospensioni di senso ed intenti, più prossimo alla messa in scena teatrale che alla documentazione.
Sebbene la fotografa non lavori alla costruzione di set veri e propri – come è invece il caso di altri fotografi contemporanei: da Jeff Wall a Gregory Credwson – le sue immagini si offrono come altrettante mises en scène, che lasciano intravedere solo un istante di una storia che sta a noi interpretare e continuare ad immaginare.