Trastevere 2008. Una stanza piccola ed accogliente, alla parete un’enorme foto di Papa Giovanni Paolo II che scende dall’aereo, con i capelli accarezzati dal vento, durante uno dei suoi innumerevoli viaggi. I computer mandavano in sequenza immagini da ogni parte del mondo e volti così diversi, così umani, incorniciati dai colori e dalla luce. Noi eravamo lì, aspettando un commento di Gianni Giansanti sulle nostre fotografie, mentre, per rompere l’ansia, mi perdevo nelle mille immagini del suo studio.
È il ricordo mio e di Edo di Gianni Giansanti. In quel giorno nasceva F.A.G. (Fotografia, Arte, Giornalismo) dalla sua personale intuizione, presentata in mostra al Festival Internazionale della Fotografia di Roma e curata dal direttore di Bit Culturali.
Gianni Giansanti è stato uno dei più grandi maestri della fotografia italiana.
Ciò che colpisce nelle sue fotografie è la capacità di ‘sentire’ la luce, di rappresentarla come traccia di un’entità trascendente, divina. Si posa sugli uomini leggera ed impalpabile, assume colori variegati ed è sempre calda, rassicurante, anche quando ad essere immortalate sono immagini crude o di cronaca nera. Giansanti riesce ad andare sempre oltre, al di là della scena, al di là della cronaca, il suo obiettivo è una rivelazione, sembra scoprire la quint’essenza delle cose, che, se colta attentamente, può mettere in discussione stereotipi e punti di vista comuni.
Grazie alla sua luce, si ha sempre la sensazione che la vita, anche nelle sue manifestazioni più dolorose, è sempre un’esperienza sensazionale e che, forse, proprio quella luce è la traccia di un profetico riscatto o di un ordine superiore che sostiene tutte le cose.
Il linguaggio di Giansanti è puramente rinascimentale: l’equilibrio compositivo, il minuzioso bilanciamento tra le forme e le strutture, la prospettiva delle sue immagini ricordano in parte Raffaello, così come il predetto rapporto con la luce. Un esempio può essere l’immagine della bambina africana, tra le sue foto più amate, nella quale la luce si fa largo tra l’oscurità, accarezzando i lineamenti ingentiliti della fanciulla. Sembra che la stessa provenga da un altrove, quasi divina, e la bimba diventi angelo ai nostri occhi. Questa è l’arte di Giansanti, mostrare ciò che non si riesce a vedere, rivelare essenze nascoste con una tecnica ed una semplicità straordinarie.
Nella sua fase matura non è più solo e semplicemente il grande fotoreporter, colui che riesce a stare sempre sulla notizia; mirabili gli scatti sulla morte di Aldo Moro, che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. La sua fotografia, come già ricordato, diventa, anche grazie alla sua sensibilità, una sublime esperienza artistica, a tal punto da collocarlo tra i nomi più influenti della fotografia artistica italiana.
Eccezionali i suoi scatti dedicati a Giovanni Paolo II. Giansanti lo ha seguito ovunque, regalandoci un’immagine del Papa che è insieme quella dell’uomo, con le sue fatiche, sofferenze, piccole grandi gioie, e del santo, capace di effondere una magnetica spiritualità ed un senso di pace a chi lo incontrava. Nelle sue foto sono presenti tutti e due gli aspetti, uniti a tal punto che è difficile slegarli, come se l’obiettivo fosse d’accordo con il Papa e con Dio, svelandosi e rivelandosi ad ogni scatto del fotografo.
Per concludere dedichiamo a Gianni Giansanti l’opera di Raffaello, La Trasfigurazione, nella quale, forse più di altre, si riesce a cogliere il parallelismo tra l’artista rinascimentale e il fotografo, sempre in quella luce che combatte con l’oscurità e che illumina il Cristo Redentore, segno della vittoria della vita sulla morte.
Diego Pirozzolo