HomeIn primo pianoCammino di Santiago di Compostela - Ottava tappa - Compagni di viaggio

Cammino di Santiago di Compostela – Ottava tappa – Compagni di viaggio

All’inizio, si fa collezione di indirizzi ed e-mail. Poi ci si accorge che quegli indirizzi restano nei quaderni, assieme alle note di viaggio,  a testimoniare incontri che non avranno mai un seguito. Spesso, a quei nomi non si saprebbe quali volti associare, sono solo tracce ricoperte da altre tracce, segni confusi di un lontano passaggio, memorie senza spessore.

Così si impara a lasciare che le persone, dopo averci incontrato, scompaiano, tornino alle loro case e alle loro città senza lasciare niente che ci possa aiutare a ritrovarle. Il ricordo di ognuna di esse sbiadisce o si mescola a quello lasciato  dalle altre in cui ci siamo imbattuti, fino a diventare quasi indistinto. In alcuni casi esso lascia  un alone,  un’ aura diversa da persona a persona. C’è chi ci lascia il sigillo di una evidente simpatia, chi una sfumatura ironica e scanzonata, chi ancora un tratto di pensosa introversione. Se ci si pensa, viene voglia di immaginare quale sia la loro vicenda, di cui niente o poco sappiamo, e che sviluppi preveda. Diventano così non solo compagni di viaggio, ma personaggi di una storia che continua, come un romanzo, e di cui siamo i demiurghi o gli interpreti.

- Advertisement -

Dove siete ora Gloria e Lazaro? Cristina, Sonia, Ana? Splende già il sole in Catalogna? A quando la vostra prima gita al mare, su quel Mediterraneo che è il nostro grande lago? E se stringessimo le palpebre e aguzzassimo la vista, potremmo forse scorgere le nostre silhouette contro il sole rosso del tramonto, quando la sera passeggiamo sul lungomare ricordando il nostro viaggio a Santiago, la pioggia, il caldo gallego, l’empanada e il chupito al sapore di caffè? E le due giovani di Vigo alle prime armi? Forse alla prima vera uscita da casa,  il primo viaggio fuori dai confini dal loro borgo natio, a 100 km di distanza dal papà e dalla mamma, ma già col sapore dell’avventura sciolto nel cappuccino, col sorriso aperto di chi vuol farsi accettare e guarda chi viene da lontano con un misto di curiosità, entusiasmo, persino riverenza. Sarete arrivate a Santiago nonostante le ampollas ai piedi e il sacco a pelo che ondeggiava come un pendolo alle vostre spalle? E state già sognando di riprovare, questa volta partendo da più lontano, da Leon, da Burgos? Forse addirittura dalla Francia?  Mi pare di sentirvi, mentre raccontate alle vostre amiche le peripezie del cammino, il dolore ai piedi e alle spalle, la pioggia, la grandine, il fango, l’ingresso nella cattedrale, gli incontri nei bar, i letti a castello da scalare, le docce con l’acqua fredda, le scarpe rotte, le calze bucate…

Ma lasciati ormai Gloria e Lazaro nel Meson di Brea e, ripreso il sentiero di terra, continuo  il conteggio alla rovescia. Dopo aver sfondato il muro dei 100, in una giornata e mezzo di cammino mi sono lasciato alle spalle anche  i 70. Mi avvicino a Palas de Rey, dove potrò trovare una cabina telefonica dalla quale usare le mie carte prepagate, senza che il meccanismo del roaming dei cellulari mi costringa a bruciare in cinque minuti più soldi di quanti non ne spenda in tre giorni di cammino.

Ma prima di entrare nell’unica “metropoli” (si fa per dire) della giornata odierna, passo per una località e un albergue che la mia guida non segnala, Os Chacotes, dove mi si affianca l’anziana signora proveniente dalla Francia, con la quale imbastisco una stentata conversazione nel mio francese fatto di poche parole e di verbi che non so coniugare. Mi racconta di molti pellegrinaggi già compiuti, in Francia e in Spagna, mi mostra le ginocchia mezze sformate e tumefatte, e dichiara che, questa volta, di fronte alla tomba dell’Apostolo andrà per  accrocher les batons!  Io mi vergogno un po’ a sorpassare questa signora che porta il suo pesante zaino sulle spalle. Ma di appendere al chiodo il mio carretto, per il momento, non se ne parla proprio.

Prima di arrivare a Palas, il sentiero è affiancato da una serie di cippi metallici con una superficie riflettente, anch’essa di metallo, disposta su di un piano inclinato. Una buona occasione per un autoritratto nel quale l’ovale del viso non si distingue da quello di un alieno sbarcato da altri mondi.

La chiesa di Palas de Rey ha anche una torre campanaria, il suo cruceiro, degli alberi ornamentali  su un lato e sull’altro, delle panchine, una delle quali occupata da un’altra giovane viaggiatrice, raccolta nell’atteggiamento di chi vuol restare in compagnia di se stessa e dei suoi pensieri; rivolti forse a ciò che ha lasciato a distanza e ora guarda in prospettiva, o a ciò che intravede dinanzi a sé, nell’ orizzonte del suo futuro.

Dalla chiesa si scende per delle scale verso la strada che attraversa la città, dove cerco e trovo la cabina. La sosta sotto il cielo di nuvole scure, al vento freddo, mi fa battere i piedi e stringere nella giacca troppo leggera.  Con questa temperatura, le uniche soste possibili sono al riparo di qualche bar. Ma io porto con me il panino alla frittata che mi hanno preparato le ragazze di Mariluz e, dopo la lunga telefonata fatta, non voglio attardarmi di più. Le foto, per le quali mi fermo di continuo, mi rallentano abbastanza. La vetrina di un negozio, piena di articoli per camminare sotto la pioggia, mi attrae per un momento. Avevo già cercato, senza trovarli, un paio di pantaloni impermeabili da indossare sopra quelli della tuta. Ma non voglio appesantirmi e restano ormai pochi giorni all’arrivo. Mi propongo di aggiornare l’equipaggiamento prima della prossima partenza.

All’uscita della città ecco di nuovo l’amico sdentato e i suoi compagni e compagne. Si è fatto male a un piede, non poteva continuare e allora “visto che sono di qui” ha preso la sua vecchia Renault 5 e con il suo gruppo stanno tirando fuori panini e altri beni di conforto. Gli dico dell’incontro con l’amico olandese che li ha seminati. Poi procedo sull’altro lato della strada, dove la fedele freccia gialla mi indica l’uscita dalla città per un sentiero che passa per delle villette con giardino. In pochi passi l’ambiente ritorna rurale. Le vie prendono il nome di Rua, come in Portogallo e in Brasile.

Sto fotografando un horrio, quando  la scheda di memoria della mia macchina digitale segnala di non avere più spazio. Ed è sotto quell’horrio che la sostituisco, prima di riprenderlo da un’altra angolazione. È il granaio dei galiziani, fatto per conservare il mais ben sollevato dal terreno umido e ben arieggiato. Su due o più basi rialzate, la sua struttura in pietra, sovrastata da una tettoia, è chiusa  lateralmente da assi di legno che lasciano filtrare l’aria. Sulla tettoia e sulle facce anteriore e posteriore, decorazioni di forma varia, a volte croci, che fanno pensare a dei sarcofaghi sospesi.

Alle mie spalle un’avanguardia della compagnia dello sdentato si è staccata dagli altri che restano a mangiare.  Uno dei due è il solito nordico, alto e dall’aspetto di un Indiana Jones, col suo cappello, i pantaloni e il giaccone ampi e pieni di tasche, i guanti, gli scarponi, le borracce intorno al collo e la barba. Se provassi a vestirmi così, sembrerei uno gnomo sul quale hanno rovesciato uno scaffale di merceria. Ah, se fossi solo un po’ più alto e non portassi gli occhiali!
Con lui una ragazza spagnola che, mentre la inquadro, alza gioiosa la sua bacchetta destra e sorride. Lui mi scruta con quella curiosità da entomologo che di solito gli inglesi riservano agli stranieri.

Anche un cane si ferma ad osservarmi, con un orecchio che penzola da un lato e l’altro che il vento scoperchia all’indietro. E dietro di loro, chi mai ti rivedo, in questa foto che solo ora  analizzo con attenzione? No! Ma sono ancora loro, Gloria e,  nascosto dietro la ragazza con la bacchetta, Lazaro redivivo. Mai nome fu più azzeccato, visto che li avevo già dati per persi. A scanso di equivoci, non dirò che è questa l’ultima volta che li ho incrociati.

Al km 64 mi trovo in corrispondenza della località di Carballal. Un altro segnale, poco più in là, è sovrascritto con l’ortografia gallega, Carbalhal. Un gesto di protesta che si ripete puntuale da quando mi sono avvicinato ai confini con la Galizia. Un modo di rivendicare l’identità locale contro il potere di Madrid.

Continuo ad allontanarmi da Palas, il sentiero torna a fiancheggiare la strada fino ad una piazzola di sosta fra i salici, dove si indovina una fontana che ha cessato di versare acqua. Io ne ho un po’ nella mia borraccia, ma è soprattutto ora che quel panino venga scartato dalla stagnola che lo ricopre e si trasformi in nutrienti e calorie. Mi seggo dunque e tiro il fiato  per un momento, mi volto e saluto una famiglia spagnola che viaggia con figli al seguito, il più piccolo avrà sette, otto anni e –  mi dicono –  è il più veloce di tutti.

Poi sopraggiunge la ragazza bionda che era seduta dietro di me nel bar di Portomarin. Non c’è il ragazzo, alto, bruno e dallo sguardo fiero, che era seduto con lei. Le chiedo di farmi uno scatto e le offro un pezzo di panino. Si siede con me, mi conferma di essere tedesca, mentre è svizzero quel ragazzo che io ricordo. Si sono appena persi, non chiedo come, ma lo immagino.  E parliamo per un po’,  quando la guardia svizzera compare alle mie spalle e si abbracciano parlando fitto, fitto, come se non si vedessero da anni. Il suo sguardo non aveva la spavalderia di ieri, ma tradiva una commozione prossima al pianto.

La precede lungo il sentiero, mentre lei resta ancora un po’.
– Credeva di averti perduto? – Le chiedo. E Lei annuisce sorridendo. Poi mi saluta e va anche lei. Se sono rose fioriranno, o resterà solo un bel ricordo, chi può dirlo? Su questo cammino non sono in pochi ad incontrarsi e, fra loro, qualcuno decide di proseguire insieme ben oltre Santiago. A volte tornano qui per sposarsi, in una delle chiesette lungo la strada che li ha fatti incontrare.

La mia pausa pranzo volge al termine ed è ora di imboccare il sentiero che punta deciso al bosco di eucaliptus, uno di quelli che ho visto dall’alto, prima di atterrare a Santiago. Il km 62,5 segna l’arrivo a San Xulian del Camino, dove mi imbatto in un horrio a due piazze, tanto è più grosso di tutti quelli che avevo incontrato finora, e che compone, assieme al cruceiro e alla chiesa, un trittico in pietra contenente gli elementi fondamentali e ricorrenti del paesaggio galiziano.

Lungo il sentiero sopraggiungono anche le due magrissime australiane conosciute a Samos, madre e figlia, e  restano nel mio obiettivo col loro saluto e il loro sorriso.

Solo 48 ore fa non ero ancora in vista del km 100. Ma domani, la distanza che mi separa da Santiago sarà espressa a due cifre e la prima sarà il 5. Questo solo pensiero mette il turbo alle rotelline del carretto che tuttavia, dopo San Xulian, va a incagliarsi in un tratto di sentiero che improvvisamente  scende verso il basso, si infossa e appare come il letto prosciugato di un torrente, ancora fangoso al centro. Altri gruppi di pellegrini sopraggiungono, ed io che fino ad ora mi sono lasciato sorpassare senza opporre resistenza, perdo la mia flemma e comincio a tirare come un somaro il mio carretto, sollevandolo completamente dove non è possibile trascinarlo e rischiando in più di un’occasione di slogarmi un polso quando si rovescia.  Tiro come un disperato e sbuffo risalendo dal canalone; la comitiva che segue mi ha fatto perdere la pace e cadere vittima della paura di non trovare posto, o di scoprire che il rifugio di Casanova sia chiuso in questa stagione. È il solito effetto della stanchezza di fine corsa, quando le batterie sono al minimo e si viaggia dando fondo alla riserva. Sbuco sulla strada salutando le australiane.
Where do you stop, tonight?
In Casanova.
Oh yes, of course, you are Italian…

Mi affretto lungo la stradina asfaltata; su un banchetto fuori da un cancello vedo il sello preparato perché i passanti se lo stampino da soli sulle loro credencial; chiedo ad altri, fermi lì, se sanno quanto manchi a Casanova e poi chiamo a gran voce in direzione della sola casa che lasci intravedere una finestra aperta. Ne esce una signora che si incammina con me.  Sono arrivato, l’albergue è  quella costruzione solitaria,  poco più avanti sulla destra,  e Casanova-Mato è tutta qui, un nome per ognuna delle due case che compongono l’intero abitato.

Vincenzo Continanza

Segui il viaggio:

Prima tappa: In Galizia sul Cammino per Santiago di Compostela

Seconda tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Da O Cebreiro a Fonfria

Terza tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Verso il monastero di Samos

Quarta tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Il tempo del pellegrino

Quinta tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Verso Ferreiros

Sesta tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Arrivo a Hospital de la Cruz

Settima tappa: Sul Cammino di Santiago di Compostela tra ricordi e sogni

Ottava tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Compagni di viaggio

Nona tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Sosta a Casanova

Decima tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Arrivo a Ribadiso

Undicesima tappa: Cammino di Santiago di Compostela – 40 chilometri alla meta

Dodicesima tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Sosta a Santa Irene

Tredicesima tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Verso Monte do Gozo

MOSTRE

La Sapienza Università di Roma - Foto di Diego Pirozzolo
Fondazione Roma Sapienza, “Arte in luce” X edizione

LIBRI