Palazzo Magnani di Reggio Emilia ospita dal 14 marzo al 2 maggio 2010 la mostra Mario Raciti. La pittura dell’ignoto.
L’esposizione, curata da Sandro Parmiggiani, ripercorre attraverso 100 dipinti, compresi alcuni polittici di grandi dimensioni, 50 anni di attività (1959-2009) di uno dei pittori italiani di più intenso lirismo.
Nel corso della sua carriera Mario Raciti ha perseguito con estrema coerenza una poetica che utilizza gli strumenti e le tecniche della pittura per cercare di dare volto a ciò che per l’artista stesso deve restare segreto e nascosto, essendo per sua natura indicibile, irrappresentabile nella sua compiuta totalità.
Lo scenario in cui Raciti colloca le sue apparizioni è costantemente un fondo indefinito, da quello grezzo della tela, magari appena segnata da bave sfilacciate di grigi o di marroni, a quello che pare alludere a un liquido amniotico, a una polvere d’acqua e di cielo al di là dei quali s’erge un orizzonte curvo, uno spazio insondabile, lontano da noi.
La pittura dell’artista rivela nel tempo diverse declinazioni.
Negli anni Sessanta s’immerge dentro un mondo incantato, di favola, in cui i segni si vanno organizzando in immagini plastiche e allungate, spesso verso l’alto o dentro l’orizzonte sempre all’insegna dell’ironia che hanno una qualche parentela con il disegno infantile, con le sue rappresentazioni del mondo, e che rendono, con forza straordinaria, l’atteggiamento proprio di quella irripetibile età della vita, quando gli occhi sono sgranati, aperti a ogni incontro e a ogni emozione.
Il decennio successivo è all’insegna di ciò che Raciti stesso chiama nei suoi titoli “presenze-assenze“: ripartizioni spaziali del sogno, segni sottili, eleganti che corrono sulla tela con la forza di un bisturi che scarnifica le cose, e ammassi nerastri che, alla metà del decennio, paiono, nelle lacerate vele bianche che l’artista disegna nello spazio, evocare la memoria e il respiro tragico di Caspar David Friedrich – un altrove, uno spazio “altro” da quello che noi abitualmente occupiamo nel mondo, l’eco, il riverbero di qualcosa che se ne sta fuori, al di là del dipinto.
Negli anni Ottanta, la complessità spaziale aumenta, si frantuma. Raciti si misura con l’evocazione del mito, rivisitando alcune delle vicende (da quella di Icaro a quella di Giove che si fa cigno per possedere Leda), eternamente cangianti nelle modalità di essere narrate, che se ne stanno saldamente dentro l’immaginario umano – di nuovo un “altrove” tenacemente cercato, sognato, qualcosa che non si vede e che non si manifesta, indagati e vissuti attraverso la pittura. Molte delle opere degli ultimi vent’anni recano un titolo (Mistero o Why) che ben caratterizza l’intenzione ultima di Raciti, che ora si avvale di toni più scanditi e caldi. Nelle opere degli anni recenti, infine, rivisita il tema della Crocefissione, con mani scheletriche che emergono dal nulla nello spazio a gridare la loro sofferenza, l’anelito a una impossibile speranza.
La mostra, promossa dalla Provincia di Reggio Emilia, è accompagnata da un catalogo bilingue (italiano/inglese) edito da Skira.