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Cammino di Santiago di Compostela – Undicesima tappa – 40 chilometri alla meta

di Vincenzo Continanza

Cosa ricordo del pernottamento a Ribadiso (riva del fiume Iso)? Sicuramente il momento dell’arrivo, il ponticello sul fiume, gli alberi e il casolare, il signore che mi viene incontro e si offre di scattarmi una foto, la signora inginocchiata sul ponte con indosso il chubasquero e forse ancora lo zaino. Poi l’ampio portone, la fretta di entrare, Francesco l’aretino redivivo (ma non dovevi proseguire verso Santiago?), una portineria in legno ricavata in un angolo del cortile, l’hospitalera che mi dice di attendere e poi mi accompagna nella camerata ancora semivuota, l’odore del legno, la sensazione d’essere al riparo, la finestrella da  casa dei sette nani con l’ampio davanzale che organizzo come un armadietto sul quale sistemare il contenuto dello zaino. L’angolo fra letto e finestra sul quale dispongo zaino e carretto, poi la ricerca delle docce, situate nell’ala opposta di questa che doveva essere una grande masseria e la necessità di attraversare  altre due camerate, di uscire all’aperto, sotto la pioggia che non dà tregua, per raggiungerle. Poco male, mi dico, che sarà mai un anticipo d’acqua prima della doccia?
E al mio ritorno, il solito tran tran di buste e calzini da asciugare, magliette, camicie e maglioni. La pioggia non lascia spazio all’illusione di poter fare oggi quello che non ho fatto ieri. Non resta che utilizzare i radiatori per asciugare tutto quello che ho. Mancano due tappe al Monte do Gozo e posso dar fondo alla mia riserva di biancheria pulita. C’era  quel mio vecchio amico iraniano che era solito ripetere: “Un vero uomo, puzza!” . Qui ho colto l’occasione di dargli ragione.

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Così riprende il traffico consueto fra un radiatore e l’altro della camerata: metti la camicia, togli la camicia, metti l’asciugamano, gira l’asciugamano, metti il calzino, rigira la punta del calzino, rinaccia il buco del calzino, rattoppa il tallone del calzino, stenditi un po’ e guarda la tua guida, due chiacchiere con gli altri che man mano hanno riempito la stanza.

Faccio la conoscenza di Jaqueline, domenicana di colore alle prese con la tendinite, e ci ritroviamo nel Mesòn adiacente l’albergue, vicino quanto basta per non dover indossare il chubasquero ma prendersi un’altra spruzzatina.

Mi dirigo al tavolo di Jusep, il catalano che assomiglia come una goccia d’acqua a Soru, e mi seggo accanto a lui. Chiamo Jaqueline e Francesco che, col suo amico Ipolito (con una “p”), anche lui catalano, vengono a completare una piccola tavolata. Ecco la compagnia di stasera. Due italiani, due catalani, una domenicana. Tre continenti uniti dalla lingua di Cervantes: l’Europa, l’America, l’Africa degli antenati di Jaqueline. Il suo nome, peraltro, la fa rimbalzare nel cuore della vecchia Europa. Da un tavolo, nascosto oltre un’arcata, piove qualcosa, un tappo, una bottiglia di plastica. Un’allegra brigata di spagnoli ha alzato un po’ il gomito. È la Fiesta durante la tempesta, che fuori prosegue implacabile. Arriva un pentolone di lenticchie fumanti che ci mette a tacere per un po’. Francesco mi dice che in Andalusia, a parte le città, “non c’è niente”. Si riferisce alla vegetazione semidesertica, al paesaggio brullo, così diverso dalla ridente Toscana e dalla verde Galizia, ma dire che, “a parte” Sevilla, Granada, Cordoba, la Sierra Nevada, le coste, il sole, il mare… e il resto, in Andalusia non ci sia “niente” mi pare un po’ esagerato.

Intorno a noi l’intenso vociare di tutti gli altri, ognuno compreso dentro la sua cerchia di commensali o rivolto al suo compagno al bancone del bar. In questa bolla d’allegria e di soddisfazione per l’ottima cena, il vino sfuma le immagini dei miei ricordi come nella dissolvenza di un vecchio film.
Trovo nel mio taccuino i nomi dei miei amici di stasera e una breve nota: “Ore 21:30, scrivo questo e mi metto a letto. Fuori piove a dirotto e per andare al bagno…bisogna uscire fuori. A Santiago! A Santiago! 40 km. Domani punto a Pedrouza”.

Settimo Giorno

È l’unica volta che scrivo sul taccuino l’obiettivo del giorno dopo. Non l’avevo mai fatto prima, pur sapendo, grosso modo, dove volevo arrivare. E questa volta, che l’ho messo nero su bianco, le cose andranno diversamente. Si conferma  sempre valido il vecchio andante secondo cui l’uomo prevede e Dio provvede.

Questo settimo giorno di viaggio comincia quasi al buio, dopo una colazione a base di torta di Santiago, una ricca torta di pasta di mandorle che somiglia a un panforte di Siena con dentro amaretti di Saronno. Mi sono svegliato in anticipo sugli altri della camerata, con la lampadina da speleologo in testa ho risistemato lo zaino, contando sulla disposizione delle buste lasciate in ordine dalla sera precedente e completando la sistemazione dello zaino sul suo veicolo a due ruote nel cortile del casolare.

Il cielo è sempre un cielo di pioggia e una delle due ruote del carretto si impunta e non vuole circolare. Mi fermo in una stazione di benzina dove chiedo un giravite, allento dado e controdado, pulisco gli interstizi dal fango e il carretto riparte.

Poco dopo sono all’ingresso di Arzua. La N547 la attraversa tutta, fino a una piazza dove arrivo dopo la sosta telefono in una cabina.  Cerco, prima di lasciarmi Arzua alle spalle, un bar che abbia un sello. Il bar dove entro è pieno di pellegrini, come tutti gli altri di fronte ai quali sono sfilato. I portici che precedono la ripresa del sentiero sono anch’essi occupati dalla processione dei caminantes. E anche sulla piazza ne vedo accorrere da ogni lato. Sul sentiero questa processione va crescendo rapidamente. Gruppi che mi precedono, che si fermano davanti a me, che sorpasso. Persone incontrate nei giorni precedenti che salutano e che anch’io saluto. Un signore dai capelli bianchi che procede a passo di marcia. Una coppia che si ferma a fare foto e a bere acqua.  In  meno di mezz’ora mi ritrovo a far parte, ora sì, di un reggimento in marcia.  Non sono il doppio o il triplo di ieri, sono duecento volte tanti, o forse di più.

La parte meno nobile del mio cervello, quella che condivido coi rettili, prende il sopravvento. Comincio a forzare, temendo di essere superato dall’intero mare dei miei colleghi, concorrenti anch’essi a un posto letto, per questa notte in Galizia. I pellegrini mi piovono addosso come gli acquazzoni, facendomi dimenticare la macchina fotografica, ma anche la quiete serafica delle giornate di cammino già trascorse. Il sentiero è duro, pietroso e fangoso e appena incrocio una stradina d’asfalto la uso per riportarmi sulla N547 dove non mi accompagna più l’esercito dei pellegrini, ma il rombo delle macchine che sfrecciano.
Sarà la giornata che godrò di meno, preso da una assurda fretta d’arrivare che mi farà percorrere i miei venti chilometri in poco più di quattro ore.

Ho lasciato i miei sconosciuti compagni nel sentiero che si inerpica fra campagne e boschi. L’ampia statale è dura e monotona da percorrere ed io procedo da solo, sudando e sbuffando. Chiedo quanto manchi per un bar, per rifornirmi di qualcosa da mangiare. “È vicino” mi dicono a Burres i soliti passanti abituati a calcolare le distanze stando seduti in macchina. Trentacinque minuti dopo intravedo l’insegna di un bar e attraverso la strada per raggiungerlo. L’insegna è mezza rotta,  il bar chiuso e la casa abbandonata da tempo, con le imposte aperte, qualche finestra spaccata, un cartello di vendesi accartocciato. Dopo qualche minuto compare un altro bar, al quale mi avvicino con circospezione, temendo un altro scherzo. È il Venerdì Santo anche qui, e non vorrei ritrovarmi a fare digiuno senza averlo previsto, con altri 10 km almeno da bruciare, prima di stasera.
Il Bar Casqueiro è invece aperto, io mangio e mi rifocillo, oltre a portare con me mezzo panino e una bustina di frutta secca da sgranocchiare in caso di necessità. Due chiacchiere con i ciclisti, che oggi arrivano a Santiago, e sono di nuovo in strada, a inseguire i pellegrini, concorrenti immaginari.
Molti fra loro, infatti, sono camminatori come Mariano, da 40 km al giorno, e gli altri puntano quasi tutti a Pedrouza, sosta indicata dalle guide come finale di tappa. Io non sono obbligato a recarmi proprio lì, posso fare come ho fatto finora e fermarmi in un centro minore, tre chilometri prima.
Ma il mio cervello rettile, chiuso nel suo schema di attacco e difesa, sopravvivenza, minaccia e pericolo, non sente ragioni e spinge sul mio sistema cardiovascolare, sui muscoli e sui tendini, fino a trascinarmi per il collo prima a Salceda, dove il sentiero incrocia la strada, e poi a Santa Irene, dove il rifugio è ancora chiuso e mi hanno preceduto solo in cinque. Sono il sesto ad attendere che l’albergue apra, manca un quarto d’ora all’una e ancora non si placa l’agitazione, mentre il fiume di pellegrini continua a sfilare ed io difendo il mio posto da  possibili attacchi da parte di comitive extraterrestri. Per fortuna è capitato al settimo giorno di cammino, quando le gambe hanno già preso un po’ di tono, altrimenti avrei rischiato di farmi male. Saprò che l’albergue di Pedrouza si è riempito solo alle due e mezza del pomeriggio. Qui a Santa Irene avrei trovato posto anche dopo le cinque. Ah, quando la prudenza sconfina nell’ansia e questa genera fantasmi! Si diventa proprio ridicoli e si finisce col perdere tempo davvero, perché è perduto quel tempo trascorso a fuggire o difendersi da pericoli che non esistono.

Ma da dove veniva quel fiume improvviso di pellegrini? Anche questo potrò ricostruire col senno di poi. Fra Melide e Arzua sono confluiti su un unico percorso i pellegrini provenienti dal Camino del Norte (o de la Costa) e dal Camino Primitivo, affluenti importanti di quest’unico fiume di viaggiatori moderni, sportivi, eco-consapevoli, consumatori frugali, credenti di ogni tipo e scettici, ma positivi cercatori.

Segui il viaggio:

Prima tappa: In Galizia sul Cammino per Santiago di Compostela

Seconda tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Da O Cebreiro a Fonfria

Terza tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Verso il monastero di Samos

Quarta tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Il tempo del pellegrino

Quinta tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Verso Ferreiros

Sesta tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Arrivo a Hospital de la Cruz

Settima tappa: Sul Cammino di Santiago di Compostela tra ricordi e sogni

Ottava tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Compagni di viaggio

Nona tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Sosta a Casanova

Decima tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Arrivo a Ribadiso

Undicesima tappa: Cammino di Santiago di Compostela – 40 chilometri alla meta

Dodicesima tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Sosta a Santa Irene

Tredicesima tappa: Cammino di Santiago di Compostela – Verso Monte do Gozo

MOSTRE

La Sapienza Università di Roma - Foto di Diego Pirozzolo
Fondazione Roma Sapienza, “Arte in luce” X edizione

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