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Recensione | Bellamy – Film di Claude Chabrol

di Nicola Rossello

Film programmaticamente “minore” nella sua apparente opacità formale, Bellamy intende essere invece uno squisito esercizio di stile, un omaggio a un genere che non è più: il poliziesco psicologico e umanistico francese alla Simenon (il modello è dichiarato a chiare lettere), un genere felicemente ignaro delle allucinate accensioni barocche e della concitazione febbrile con cui il polar nichilista contemporaneo tende a riscrivere l’estetica (e l’etica) della violenza.

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L’ultima fatica di Claude Chabrol (presentata al festival di Berlino del 2009, la pellicola in Italia è passata direttamente su Sky) possiede una discrezione e una sobrietà – narrative ed espressive – che sono oggi cosa ben rara. L’intrigo “giallo”, a cui si sovrappone un sub-plot familiare (il rapporto tra Bellamy e la moglie; la relazione tortuosa che lega il commissario al fratellastro – ed è questa dimensione del racconto ad acquistare nel corso del film sempre maggiore importanza), l’intrigo “giallo” è governato da una sceneggiatura sapida e rude, tesa a giocare con una certa qual negligente disinvoltura con gli stilemi del genere, dove misurati cambiamenti di tono e di registro, assecondando i tempi rilassati dell’inchiesta (il commissario Bellamy è, dopo tutto, in vacanza, appare stanco, affaticato, ed è ben deciso ad agire senza fretta), svariano dagli episodi cruenti e dolorosi a note più propriamente umoristiche e grottesche (sul registro del caricaturale e del grottesco s’allinea la recitazione di Jacques Gamblin).

Le tonalità più argutamente ilari e ironiche su cui Chabrol talora indugia non devono però trarre in inganno. Dietro l’apparente bonomia del film (e dietro l’aria bonacciona di Gérard Depardieu) si nasconde un fondo cupo, amaro, pessimista.

Il regista si muove qui su un terreno a lui congeniale, tornando a descrivere quell’ambiente provinciale sonnacchioso, equivoco e feroce, già illustrato in tante sue pellicole. Colpisce questo nuovo ritratto di un’umanità malata, precipitata in una sorta di torpore morale. I personaggi che popolano il film vengono a comporre un campionario di individui sfasati, torvi, smaniosi, incattiviti, moralmente deviati, rosi dall’ambizione, dall’invidia, dal disgusto di sé, incapaci di vivere la propria vita senza urti e sofferenze.

Alla bassezza e all’abiezione si oppone lo sguardo lucido e indulgente di Bellamy, un poliziotto fuori dagli schemi (e tuttavia chiaramente ispirato alla figura del commissario Maigret), capace di entrare nella psicologia delle persone, di osservarle senza rabbia e senza disgusto, di comprendere le pulsioni nefaste che arrivano a guidare le loro scelte, trascinando i loro destini alla rovina; ma capace altresì di stanare quei grumi di umanità autentica che tutti, anche i peggiori furfanti, conservano in fondo a se stessi.

Una figura squisitamente anacronistica, quella di Bellamy, a cui Depardieu conferisce accenti intensi, di amaro disincanto – il disincanto di chi ha capito quanto sia sottile il confine che separa il bene dal male, l’innocenza dalla colpa, la verità dalla menzogna, il reale dall’inverosimile.

Scheda film

Titolo: Bellamy
Regia: Claude Chabrol
Cast: Marie Bunel, Clovis Cornillac, Gérard Depardieu, Jacques Gamblin, Vahina Giocante, Marie Matheron
Durata: 110 minuti
Genere: Giallo
Data di uscita: 25 agosto 2010


Copertina libro
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