di Diego Pirozzolo
“Il sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole” scriveva Ennio Flaiano. Frase che già conoscevo, ma che non riuscivo ad allontanare dalla mia testa dopo averla letta durante la visita alla mostra Teatro del Sogno allestita nelle sale della Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia. Buttavo qualche appunto per il giornale mentre rientravo a Roma con il pullman. Difficile scrivere qualcosa. Le opere d’arte hanno sempre avuto il potere di emozionarmi, ma questa volta non riuscivo a descrivere quello che provavo. Cercavo il mio collaboratore con lo sguardo, magari per chiedere consiglio, ma lui era immerso nel sonno. Allora l’ho guardato mentre dormiva, come avevo fatto qualche ora prima con il video Sleep di Andy Warhol. Ad un tratto ecco che arriva la chiave: scriverò il pezzo stando sulle nuvole, senza formalismi di giornalismo British, così come viene, con l’ordine dettato dall’istinto. Forse solo così riuscirò a comprendere meglio e, quindi, a comunicare il senso di Teatro del Sogno, del dialogo che il curatore ci invita a stabilire con le opere. C’è bisogno di più sogno nella vita, nella quotidianità, nella politica, “per tradurre – come sostiene Fabrizio Bracco, assessore alla Cultura della Regione Umbria – la critica fecondità nel rigore di azioni condivise e dirette al bene comune”.
“Questa mostra nasce da un libro che non trovo più, ‘Teatro del sonno’ di Guido Almansi, – afferma il curatore Luca Beatrice –, perso in qualche trasloco o prestato al solito impreciso che si sarà abilmente dimenticato di restituirmelo”. Sembra quasi che tutto inizi da questa “perdita”, dalla ricerca di un libro perduto, parafrasando Proust, che probabilmente ha acceso nella mente del curatore, così come i dolcetti francesi nell’autore della Recherche, la memoria di pagine scritte e di opere mirabili dell’arte tutte incentrate sull’universo onirico. Il testo è una sorta di antologia dei sogni, che ha ispirato Beatrice nella realizzazione di una raccolta ben più complessa e articolata, fatta di quadri, sculture, disegni, parole e cinema: “Il Teatro del Sogno”.
Visti i risultati, la qualità della mostra, la genialità della sua progettazione, ci sembra doveroso ringraziare il “solito impreciso”, che con la sua “abile” dimenticanza permetterà a tutti i visitatori di vivere un’esperienza unica, per certi versi surreale.
Una mostra di grande qualità che espone autori assoluti dell’arte con più di 100 opere dedicate all’esplorazione dei sentieri sconosciuti e misteriosi del regno dell’onirico.
Sono presenti opere di Boccioni, Paul Klee, Max Klinger, Chagall, Mirò, Salvador Dalì, Renè Magritte, Giorgio de Chirico, Fernando Botero, Man Ray, Federico Fellini (disegni) e di tanti altri. Spicca, inoltre, la presenza del cinema con capolavori surrealisti come un Chen andalou e L’age d’or di Buñuel.
La grandezza di questa mostra non risiede solo nella scelta degli autori e delle opere, ma si spinge oltre. Per ammissione dello stesso Beatrice, si è creato “un percorso nel quale lo spettatore idealmente si perde”. Infatti, si entra in un tracciato segnato da corridoi in penombra illuminati dalla luce soffusa delle opere d’arte. Sembra quasi rievocare il processo della nostra mente, quando, appena sveglia, ciò che recupera di un sogno è una serie d’immagini sconnesse fra loro che si fanno strada tra l’oscurità. Se pur divisa in quattro sezioni, Simboli, Surrealismi, Celluloidi, Contemporanei, che debordano l’una nell’altra, lo spettatore può seguire un percorso autonomo, districarsi tra i labirinti realizzati dall’installazione, seguendo semplicemente la propria ispirazione e il proprio gusto. Ci si muove con disinvoltura tra Giorgio de Chirico e le grandi tele di Delvaux. Si contemplano i colori blu ipnotici di un meraviglioso Chagall (La famille) in una composizione ricca di valori simbolici e di misticismo surrealista. Girando in qualche angolo della mostra scopriamo i seducenti disegni di Fellini, forse tra i più surrealisti autori italiani, carichi di colori e suggestioni. Ed è bello perdersi dialogando con questi maestri, leggere una frase di Shakespeare, imbattersi in una sala scura illuminata solo dalla proiezione di un uomo che dorme (Sleep di Andy Warhol), “opera – come sostiene Beatrice – che fonda il proprio mito non sulla visione diretta, ma sul racconto di essa”.
Ci si potrebbe ancora soffermare sugli altri autori e sulle opere non citate in questa breve descrizione, così come si potrebbero fare infiniti accostamenti tra le opere, tutti possibili grazie al brillante allestimento. Una nota, però, la merita la sezione “Contemporanei”, che raccoglie opere degli ultimi anni di autentici talenti dell’immaginario. Su tutti Chia e Palladino, esponenti di quella Transavanguardia che agli inizi degli anni Ottanta ha infiammato la scena artistica italiana.
Una mostra, dunque, da vedere e da vivere, curata magistralmente da Luca Beatrice, che ha avuto il merito di realizzare un’esposizione nella quale il progetto supera se stesso per diventare performance. In questo contesto il visitatore è attore principale e nello stesso tempo spettatore: come del resto funzionano i sogni; la Byatt scriveva “chi sogna è e al contempo non è la persona coinvolta”.
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