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Fotografi | Bit Culturali incontra Marta Sarlo

di Diego Pirozzolo

Foto di Marta Sarlo © Marta Sarlo / CONTRASTOUna donna si muove con in mano il suo bambino. C’è una patina di oscurità che avvolge l’immagine. Sullo sfondo, oltre le montagne, la luce cerca di conquistare a fatica spazi d’inquadratura, illuminando soffusamente il volto della donna e proiettando su un corso d’acqua i suoi riflessi. Lei è veloce, non si cura dell’obiettivo, solo uno sguardo fugace. Ha la stessa dignità e determinazione di una donna di Dorothea Lange e il volto, quasi deformato dalla luce, simile a quello del personaggio con il cesto sulle ginocchia di Honorè Daumier nell’opera “Vagone di terza classe”, solo ringiovanito dagli anni. La donna è indaffarata, procede sicura tenendo stretto il bambino che, con gli occhi bassi, si lascia condurre molto fiducioso nella madre.
È una foto di Marta Sarlo che, autrice giovanissima rappresentata dalla nota agenzia Contrasto, ha già all’attivo numerosi importanti lavori ed una menzione d’onore al concorso FNAC.

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Marta, ho scelto questa foto per iniziare, perché credo dica tanto sulla tua sensibilità fotografica. Apprezzo lo stile e i rimandi simbolici contenuti nell’immagine: la luce che si fa strada tra l’oscurità, la dignità e la sicurezza della donna che procede consapevole della propria missione e quell’aria cupa che allo stesso tempo si percepisce, quasi un presagio delle difficoltà del cammino e delle tortuosità della vita. In pochi istanti, nel tempo di un click, sei riuscita a cogliere tutto questo. Raccontaci del tuo lavoro e del tuo approccio alla fotografia di reportage.

«Fare il fotografo non può essere visto semplicemente come un lavoro; la professionalità e la passione si devono accompagnare e trovare un loro equilibrio. Un reportage di qualità si differenzia proprio perché al suo interno si può notare subito questo equilibrio. Un bravo fotoreporter attualmente deve scontrarsi con delle situazioni dettate dal mercato che molto spesso limitano il suo lato creativo e le sue idee. I tempi e lo spazio dedicati al giornalismo, e di conseguenza al fotogiornalismo, si sono ristretti notevolmente e l’attenzione della gente spesso è breve perchè sottoposta ad una valanga di notizie più o meno importanti. Bisognerebbe essere in grado di non farsi “toccare” da questa corsa del tempo ma dedicarsi sempre con tenacia e costanza ad ogni singolo lavoro, non dimenticando l’umanità e l’umiltà che sono entrambe fondamentali per qualsiasi progetto».

Non è l’unica storia di donne che hai rappresentato. Molto interessante è la vicenda di Angela (pubblicata sulla rivista Gioia), nuotatrice che ha abbandonato l’attività agonistica perché colpita da un’obesità fisiologica. L’hai seguita e ripresa per mesi, con un approccio simile a quello che utilizzava Diane Arbus. Il risultato sono foto dalla messa a fuoco psicologica incredibile, nelle quali ci scontriamo con un’apparente normalità, che quasi ci disturba, mette a nudo i nostri pregiudizi, ci spinge a riflettere. Rispetto all’Arbus, non hai rinunciato, in alcune foto, a far trapelare qualche sentimento di commozione, quasi di vicinanza umana. Come hai vissuto quest’esperienza? Sei particolarmente interessata alla condizione e ai problemi che vivono le donne?

Foto di Marta Sarlo © Marta Sarlo / CONTRASTO«Negli ultimi due anni sto concentrando il mio lavoro personale su alcune storie di donne. Ho iniziato questo progetto con Angela e mi sono trovata davanti una donna coraggiosa, che combatte quotidianamente la sua malattia e la discriminazione sociale che questa comporta. La sua combattività è uno dei suoi lati che più mi ha colpito. Stando vicino a lei ho potuto notare con i miei occhi gli sguardi insistenti che incontra ogni giorno, ho capito realmente quanta fatica alle volte comportano anche i minimi gesti che normalmente facciamo senza pensare, ho compreso soprattutto che per una persona obesa  essere accettata senza pregiudizi è un problema altrettanto forte quanto i gravi problemi di salute che deve fronteggiare. A volte la gente dimentica che all’interno della “prigione” che è il corpo di una persona affetta da disturbi alimentari vive una persona come tutte le altre, solo più fragile. Attualmente sto seguendo Carmela, 51 anni e malata di AIDS dal 1996, anno in cui ha scoperto la sieropositività conclamata. Carmela fa parte di quella categoria sempre più diffusa di persone che si sono infettate inconsapevolmente amando e che non rientrano nelle classiche categorie che associamo a questa malattia come i tossicodipendenti o le prostitute. Senza dubbio ancora una volta mi sono trovata davanti un’altra donna combattiva e coraggiosa che ha tanto da comunicare».

E il manicomio di Anversa? Un lavoro sull’ospedale psichiatrico pubblicato su Ventiquattro. Un servizio interessante, con riprese ampie e primi piani stretti, inquadrature ad effetto, come si usa nel reportage contemporaneo, e qualcosa di più. Sì, qualcosa di più: vorrei che provassi a definirlo. Mi ha colpito il modo come hai ripreso i malati, che denota la tua capacità di penetrare nell’intimità. Se in un manicomio non hai bisogno di levare la maschera ai tuoi soggetti, perché essi stessi appaiono autentici nel loro mondo, c’è in agguato il rischio di immagini retoriche, che sfruttano la condizione dei malati per far presa sul pubblico; tu sei riuscita ad essere “esatta” (termine tanto caro ad Avedon); cosa non da tutti.

Foto di Marta Sarlo © Marta Sarlo / CONTRASTO«Troppo spesso si parla di matti senza rendersi conto che dietro a questa parola c’è una persona che viene isolata, come se la malattia di per sé non fosse già un motivo di esclusione sociale. Credo che la follia sia dietro l’angolo nella vita di tutti noi. Sono entrata nell’ O.P.G. (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) di Aversa senza pregiudizi ed ho cercato di instaurare un legame con alcuni degli internati in modo da essere trasportata attraverso i loro racconti all’interno di quella struttura, metà carcere metà manicomio, che sicuramente ostacola il recupero mentale di un individuo. La chiave è semplicemente di non mettersi su un diverso livello rispetto al tuo soggetto, di lasciar fuori il più possibile le tue esperienze e appropriarsi delle sue per poi alla fine riportarle in uno scatto».

Ho una mia presunzione: alle belle fotografie preferisco le fotografie. Sei giovanissima e questo lascia sperare che tu possa continuare a crescere ed affermarti in campo internazionale. Del resto le potenzialità ci sono; sei difficilmente inquadrabile in un registro espressivo e nelle tue immagini si colgono elementi di ricerca che ricordano le indagini dei grandi maestri del passato come Diane Arbus, ma anche filosofici combattimenti tra luce ed oscurità, come nelle foto antiche di David Octavius Hill, il tutto però filtrato e miscelato attraverso la tua sensibilità, che rappresenta il vero valore aggiunto. Quando hai scoperto di essere fotografa decidendo di fare della fotografia una scelta di vita?

Foto di Marta Sarlo © Marta Sarlo / CONTRASTO«La mia passione per la fotografia non ha una di quelle storie che si leggono sui libri, non sono nata con la macchina fotografica al collo. Finito il Liceo ho frequentato per pochi mesi la Facoltà di Architettura alla Sapienza di Roma, ma non ero convinta di questa scelta, non era quello che realmente sentivo di voler fare. Una ragazza di 20 anni molto spesso si trova spaesata dopo il Liceo ed è come mi sentivo io sette anni fà. La fotografia sicuramente mi ha liberato, è stata la mia fortuna, mi ha fatto uscire da un periodo assolutamente non facile. Seguivo spesso una mia amica, Cristina Vatielli, che frequentava la scuola di fotografia che poi ho scelto di fare anch’io. Capitava che l’aiutassi come assistente e piano piano ho capito che era questa la mia strada. Mi sentivo completa quando avevo tra le mani la macchina fotografica e più in là ho capito che raccontare attraverso le immagini la storia di una persona ti dà una soddisfazione che poche altre cose nella vita possono darti. Immergermi in realtà a me sconosciute per comprenderle il più possibile e cercare di farle arrivare il più lontano possibile è il lato della fotografia che amo di più».

Grazie Marta per la tua disponibilità. Prima di salutarci, puoi darci qualche soffiata sui tuoi prossimi lavori ed al limite invitare me e tutti i lettori di Bit Culturali ad una tua prossima mostra?

«Il mio progetto è continuare a lavorare su singole donne coraggiose che, nonostante i problemi fisici che la vita ha portato loro, lottano quotidianamente per non essere discriminate dalla nostra società. Siete assolutamente invitati… peccato che non ci sono mostre in vista!»

Copertina libro
"Il bambino che rientra dalle vacanze. Infanzia e felicità" - Il nuovo libro di Raffaele Mantegazza
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Fondazione Roma Sapienza, “Arte in luce” X edizione

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