Una sceneggiatura (dell’inglese Peter Morgan) che pare essere stata scritta su misura per M. Night Shyaliman (a cui, in effetti, era stata proposta) o per lo Spielberg più incline allo spiritualismo new age (e, non a caso, Spielberg compare qui nelle vesti di coproduttore), e invece, nelle mani di Clint Eastwood, acquista una densa energia di stile, uno spessore emotivo ed espressivo che, ricusando ogni facile effetto spettacolare (la dimensione del fantastico – del post mortem – è tenuta severamente a freno), sa riproporre l’equilibrio, la fluidità, la concretezza del cinema americano d’antan (Eastwood è l’ultimo cineasta classico hollywoodiano che, avendo fatto propria la lezione dei maestri del passato, sappia coniugare insieme grande forza e grande semplicità).
Una storia costruita intorno a tre fili narrativi paralleli e convergenti, e su tre personaggi principali – un uomo, una donna, un bambino –, accomunati dal rapporto lacerante che essi intrattengono con i morti.
Un giovanotto, George (un Matt Damon insolitamente intenso), che possiede poteri paranormali che gli consentono di percepire le voci della tenebra e di entrare in contatto con le ombre di quanti popolano i luoghi di passaggio oltre la vita, ombre da cui familiari e amici non hanno avuto la forza di separarsi: un “dono”, quello di George, che egli vive piuttosto come una condanna, una maledizione: e viene in mente il personaggio del veggente di un romanzo di Cornell Woolrich, La notte ha mille occhi, che nel film di John Farrow era interpretato da Edward G. Robinson.
Una donna e un bambino, Marie e Marcus, che sono giunti a lambire i limiti incerti che separano e uniscono la vita e la morte, dopo aver conosciuto un’esperienza terrificante (la catastrofe dello tsunami nel Pacifico, l’attentato alla metropolitana di Londra) che ha segnato per sempre la loro esistenza.
La pellicola delinea, dunque, una serie di itinerari di ricerca interiore intorno a un preciso nucleo concettuale: l’elaborazione del lutto. Nella prima parte del film i protagonisti appaiono dominati da un senso oppressivo di morte che investe l’equilibrio delle loro esistenze. Ma, come dice George al fratello, “non si può vivere dalla parte della morte”. Essi dovranno sottrarsi al rapporto straziante con il proprio passato per non soccombere al dolore (alla memoria ossessiva del dolore). Solo accettando la necessità dell’oblio, essi potranno tornare a vivere il presente e restituire alle loro esistenze serenità, amore, speranza.
Il finale, che conserva qualcosa di compiaciuto, di dickensiano (Dickens è lo scrittore prediletto da George), intende essere un caloroso inno alla vita da parte di un autore che, superata ormai la soglia delle ottanta primavere, può consentirsi di scrutare i personaggi che mette in campo con sguardo privo di asprezze.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: Hereafter
Regia: Clint Eastwood
Cast: Matt Damon, Cécile De France, Joy Mohr, Bryce Dallas Howard, George McLaren, Frankie McLaren
Durata: 129 minuti
Genere: Drammatico
Distribuzione: Warner Bros
Data di uscita: 5 gennaio 2011