La Fondazione Bano presenta dall’ 1 ottobre 2011 al 12 febbraio 2012, a Palazzo Zabarella, a Padova, la mostra “Il Simbolismo in Italia”.
L’importante movimento artistico, che velocemente si estese su scala europea, qui viene indagato nella sua vicenda italiana.
L’esposizione, articolata in otto sezioni, propone opere che evocano ciò che aleggiava negli ambienti letterari e filosofici di Gabriele D’Annunzio o di Angelo Conti o nei cenacoli musicali devoti a Wagner, mentre le Esposizioni portavano in Italia i fermenti dei movimenti europei.
Proprio con una esposizione, la Triennale di Brera del 1891, si apre l’itinerario della mostra che presenta affiancate Le due madri di Giovanni Segantini e Maternità di Gaetano Previati, quadri che segnano la sintesi fra divisionismo e contenuti simbolici.
Segue una sezione dedicata ai ‘protagonisti’: gli artisti italiani e stranieri che parteciparono direttamente a quell’avventura poetica cresciuta intorno al Manifesto del 1886 di Jean Moréas e all’ “arte di pensiero” foriera della poetica degli stati d’animo.
“Un paesaggio è uno stato dell’anima” scriveva Henry-Frédéric Amiel e a questo principio è ispirata la sezione che, trattando del sentimento panico della natura, espone opere dove prevalgono, nella rappresentazione del paesaggio, la nebbia, i bagliori notturni, la variabilità atmosferica, le situazioni insomma più facilmente collegabili ai turbamenti psicologici. A prefazione di questo tema l’ Isola dei morti di Böcklin nella raffinata ed inedita versione di Otto Vermehren, affiancata dai dipinti di Vittore Grubicy, di Pellizza da Volpedo, di Plinio Nomellini.
Il mistero della vita è il soggetto della successiva sezione. Qui troviamo la rappresentazione di azioni quotidiane: la processione, le gioie materne, il viatico, la partenza mattutina. Emblemi di quell’ “artista veggente” che aveva il compito, secondo le teorie simboliste, di decifrare il mondo dei fenomeni e di cogliere le affinità latenti e misteriose esistenti tra l’uomo e la realtà circostante.
L’ispirazione preraffaellita domina la pittura di Giulio Aristide Sartorio, Adolfo De Carolis realizza le aspirazioni figurative di D’Annunzio, Galileo Chini intesse sontuose e iridescenti allegorie, Leonardo Bistolfi interroga la Sfinge, Gaetano Previati riscopre nella storia il dramma di Cleopatra: le sezioni che illustrano il mito e l’allegoria propongono i capolavori di questi artisti mettendone in evidenza la portata internazionale attraverso il confronto con le opere di Gustav Klimt e di Franz von Stuck.
È nella sezione dedicata al ‘bianco e nero’, cioè alla nutrita produzione grafica degli anni fra Otto e Novecento, che meglio si comprende il dialogo degli italiani con la cultura figurativa mitteleuropea, impegnata ad indagare i più riposti sentimenti dell’uomo, i suoi fantasmi interiori. Spiccano in questa i fogli di Gaetano Previati, di Alberto Martini, di Romolo Romani, di Giovanni Costetti, di Umberto Boccioni, del giovane Ottone Rosai.
Il percorso della mostra si conclude nella ‘Sala del Sogno’, che alla Biennale di Venezia del 1907 aveva consacrato le istanze e le realizzazioni della generazione simbolista creando una vera e propria scenografia affidata all’ingegno decorativo di Galileo Chini e agli artisti che, con la loro militanza, avevano contribuito ad alimentare le poetiche del ‘piacere’ e dell’inquietudine, della bellezza e del mito, della spiritualità e degli stati d’animo, sostenendole con tenacia fino alle soglie della rivoluzione futurista cui introducono due capolavori ancora simbolisti di Umberto Boccioni come Il sogno (Paolo e Francesca) e La madre che cuce.