HomeCinemaLa religiosa, il film di Guillaume Nicloux ispirato al romanzo di Diderot

La religiosa, il film di Guillaume Nicloux ispirato al romanzo di Diderot

Immagine tratta dal film "La religiosa"
Del celebre romanzo di Diderot si conosceva l’adattamento cinematografico che ne fece Rivette, un’opera che, quando fu presentata a Cannes nel 1967, suscitò parecchio clamore, ma che il regista stesso ricorda come una prova riuscita a metà, “un errore seducente”, dove, al di là delle intenzioni polemiche e della carica anticlericale (ci fu persino chi parlò di un film blasfemo verso la religione), veniva già a delinearsi uno dei temi prediletti dell’autore: il teatro come spazio del conflitto realtà/finzione (“Per me è rimasto un film su una pièce. Ho voluto giocare sul fatto che vi erano momenti molto teatrali, volutamente ‘recitati in stile teatrale’, e che, a tratti, diventavano piuttosto azioni fisiche, e quindi cinema; ma è troppo ‘ingommato’, e i momenti di teatro somigliano piuttosto a cinema mal riuscito”).

A quasi mezzo secolo di distanza la storia di Suzanne Simonin torna a essere narrata sul grande schermo da Guillaume Nicloux. Nicloux è un personaggio singolare. Regista, sceneggiatore, dialoghista, attore, nonché scrittore di libri polizieschi, egli è riuscito a crearsi, almeno in Francia, una solida reputazione, tanto da essere ormai annoverato tra i maggiori rappresentanti del genere neopolar. Purtroppo i soli suoi film giunti in Italia – Les enfants-volants, 1990, un’opera d’esordio ancora acerba, e L’eletto, 2006, un pastrocchio scombinato e indigesto che, sulla scia di un bestseller di Jean-Cristophe Grangé, mischiava insieme thriller ed esoterismo d’accatto – sono considerati, secondo un giudizio largamente diffuso, i meno riusciti. Per contro, Una questione privata, 2002, passato da noi direttamente in dvd, poteva vantare un congegno narrativo astuto, che utilizzava la detection come un gioco complesso e futile insieme: un abile pretesto che consentiva a interpreti di alta scuola (Jeanne Balibar, Bruno Todeschini, Aurore Clément, Niels Arestrup…) di schizzare una serie di personaggi “minori” (nell’economia del racconto), ma vivi e incisivi.

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Tant’è: il talento scostante di Nicloux ha trovato anche nel nostro Paese i suoi estimatori. I quali parlano di pellicole abitate da personaggi sinistri che si muovono tra scenari malati in cui predominano il marciume e la desolazione; film dove un senso del grottesco e dell’irrisione iconoclasta si combina con umori ferocemente e cupamente malsani; una produzione che, mutando di volta in volta registro, adottando ritmi e sguardi diversi e “adeguando con estrema versatilità il proprio linguaggio formale” (Mariolina Diana), celebra il rifiuto di ogni accademismo.

Non sorprende pertanto che l’accantonamento, con La religiosa, dei modi espressivi consueti e l’approdo a uno stile più sobrio, privo di forzature ed eccessi espressionistici, uno stile all’insegna del ritegno e di un’inattesa idea di classicismo, abbia potuto suscitare qualche sconcerto. Di fatto, dietro questa improvvisa svolta dobbiamo leggere l’esigenza, nel cineasta, di rompere con lo schema della continuità, quasi un voler chiudere i conti con la propria produzione precedente. Alle prese con l’opera di Diderot (di cui si sono volute edulcorare, in ogni caso, certe asprezze), Nicloux ha scelto questa volta di non restare vincolato alle maglie del proprio stile, ma di servirsi di una lingua nuova, capace di assecondare la dimensione universale della storia, conferendo alla stessa una risonanza moderna; una lingua che, seguendo l’insegnamento di chiarezza, linearità ed equilibrio dei grandi maestri, consentisse di mettere il passato al presente, dando modo allo spettatore di oggi di ravvisare echi e richiami all’attualità in una vicenda calata in un contesto storico da noi lontano, gravato da urgenze in apparenza assai diverse. Allo stesso tempo, la scelta dell’austerità formale adottata dal regista (nessun compiaciuto voyeurismo nelle scene di passione omoerotica; nessun desiderio di urtare lo spettatore) sembra obbedire a un imperativo morale: assumere il rigore della messa in scena come l’esatto corrispettivo stilistico della determinazione con cui la protagonista del film affronta la sua battaglia per sottrarsi al giogo della prevaricazione.

La principale novità della Religiosa è forse questa: al bestiario degradato e corrotto che popolava le precedenti pellicole dell’autore si è qui sostituita un’eroina luminosa, angelicata. La Suzanne di Nicloux può apparire a tutta prima una di quelle fanciulle fragili, vulnerabili e indifese di cui si alimentava la fantasia perversa del Divin Marchese. Invero, essa si rivela una donna impavida e appassionata, capace di votarsi con tutto l’essere suo in una lotta senza quartiere per difendere la propria dignità e integrità, e non lasciarsi stritolare dalle dinamiche della sopraffazione che agiscono nel microcosmo monastico. Quest’ultimo – uno spazio femmineo e presociale, che evoca inevitabilmente la dimensione carceraria – è percepito dalla novizia come spazio della coercizione fisica e psicologica, ignaro di misericordia e di tolleranza: un luogo da cui è possibile soltanto fuggire (e la fuga diviene allora atto di affermazione di sé, rivendicazione della propria irriducibile individualità). Suzanne è rimasta un’anima incorrotta, incontaminata. Ha conservato un’innocenza primigenia, una purezza verginale che la rendono una figura diversa, aliena. Ed è proprio questa sua alterità intransigente, vissuta e rivendicata con coraggio, a creare lo scandalo. Se il suo strenuo rifiuto del convento è fomite di disordine, la sua diversità – la sua innocenza straniera e intollerabile – provoca forme di seduzione involontaria, tanto da suscitare desideri morbosi e inconfessabili in chi, forte dell’autorità arbitraria che esercita su di lei, vorrebbe assoggettarla alle proprie voglie. Tutti restano turbati da Suzanne: la madre superiora di Saint Eutrope (una Huppert deliziosamente sopra le righe, capace di venare il proprio furore passionale di un salutare umorismo) se ne invaghisce perdutamente e arriva a consumarsi nella bramosia di possederla; nelle stesse umiliazioni e penitenze corporali che le infligge suor Christine si può leggere un’attrazione mal dissimulata.

Il grido di rivolta di Suzanne è diretto contro una pratica della religione ridotta a vuoto simulacro, coercizione dello spirito, esercizio di sopraffazione. Ma Nocloux non è afflitto da furori iconoclasti e anticlericali. La sua requisitoria è rivolta contro quelle istituzioni (confessionali o no) che, nella loro congenita incapacità di accettare il diverso, si fanno complici di un sistema autoritario disumano, che schiaccia i più deboli e indifesi. Il film, a conti fatti, non intende irridere la vita monastica e le sue regole. La cinepresa di Yves Cape si muove, anzi, negli spazi conventuali a suggerire un senso di quieta armonia e sereno raccoglimento. Una calda luce naturale bagna le stanze, i corridoi, i chiostri, contempla arredi e vesti monacali, sino a comporre una serie di amorose nature morte. La stessa Suzanne, pur tra mille prove dolorose, conserva fino alla fine la fede in Dio (e, a differenza che in Diderot e Rivette, la sua fiducia nella divina Provvidenza sarà ricompensata). La disubbidienza nasce in lei, è vero, dall’umanissima aspirazione a vivere liberamente la vita vera realizzando, fuori dal convento, i propri bisogni femminili più profondi. Ma in Suzanne permane un anelito a una spiritualità autentica, lontana da ogni costrizione. A muoverla nel suo desiderio di sottrarsi alla vita monastica è anche l’esigenza di essere coerente con se stessa: la ragazza ricusa di monacarsi perché sa di non avere alcuna vocazione. Nessun astioso rifiuto del sacro, dunque, nella sua scelta, che è invece un gesto di sfida lanciato a ogni oscurantismo religioso (e culturale) di ieri, di oggi e di sempre.

Nicola Rossello

Scheda film

Titolo: La religiosa
Regia: Guillaume Nicloux
Cast: Pauline Étienne, Isabelle Huppert, Louise Bourgoin, Martina Gedeck, Françoise Lebrun, Agatha Bonitzer, Alice de Lencquesaing, Gilles Cohen, Marc Barbé, Françoise Négret, Lou Castel, Pierre Nisse
Durata:   114 minuti
Genere: Drammatico
Distribuzione: Officine UBU
Data di uscita: 2013

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