Dopo Venere nera, un passo falso forse non occasionale, ma, a conti fatti, secondario rispetto al percorso artistico dell’autore, Abdellatif Kechiche torna alla piena misura espressiva delle sue cose migliori (La schivata, Cous Cous) con un film che è una “scandalosa” storia d’amore omosessuale (la quale tuttavia, almeno nelle intenzioni del regista franco-tunisino, vuole avere risonanze universali), ma anche e soprattutto, nella sua sapiente costruzione drammatica, un racconto di formazione dal respiro largo, disteso, un Bildungsroman sviluppato lungo un arco temporale ampio (una decina d’anni) e intessuto di una serie di citazioni e richiami letterari (Marivaux, madame de La Fayette, Sartre, Ponge…), ognuno dei quali viene ad assumere, nel contesto, una funzione precisa, divenendo per la giovane eroina del film uno strumento di rivelazione di sé e del mondo che essa viene progressivamente a scoprire.
Una storia d’amore lesbico, dunque, che ha per protagoniste due ragazze tra loro diverse – per temperamento, esperienze di vita, condizione sociale, cultura, aspirazioni –, indotte dapprima a vivere quelle differenze come un elemento di curiosità e di attrazione reciproca, e a subirle, in un secondo momento, come un fattore di disturbo e di incomprensione, lo stesso che, venendo a creare una frattura insanabile nel loro rapporto, ne determinerà infine la risoluzione dolorosa. (A differenza di quanto avviene nella commedia francese contemporanea, le diversità sono qui percepite come una condanna fatale e inappellabile).
Il rapporto Emma/Adele può anche essere letto come un richiamo allusivo al rapporto artista/modella (Adele si presta a posare nuda per l’amica che ha ambizioni di pittrice d’avanguardia), ovvero al rapporto insegnante/allieva (il film si apre e si chiude in un’aula scolastica; Emma, che è la figura dominante e di maggior esperienza, assume verso Adele un ruolo guida, di maestra sessuale e di vita, arrivando persino a valutare le prestazioni erotiche dell’amante assegnandole dei voti), ovvero al rapporto – inevitabilmente intessuto di crudeltà e vampirismo – tra regista e attrice.
La vita di Adele è anche un documentario su due giovanissime interpreti, una delle quali praticamente esordiente, le quali, nel corso delle riprese, acquistano coscienza del loro eccezionale talento recitativo. L’attenzione del regista verso la verità dei volti, dei corpi, delle emozioni, riguarda, certo, il personaggio di Adele, ma riguarda altresì la commediante Adèle Exarchopoulos la quale, quasi priva di esperienza recitativa, realizza qui la sua iniziazione al mestiere di attrice.
L’elevatissima potenza emozionale del film è costituita, come di consueto in Kechiche, sulla stupefacente durata delle scene. Anche qui l’autore si concede un passo volutamente lento e pur fluido (mai noioso: i 180 minuti della pellicola scorrono lievemente), un tempo lungo di assaporamento dei volti, degli sguardi, dei corpi. Sono le più sottili sfumature di una passione assoluta, totalizzante a essere sopraggiunte attraverso un uso insistito di sequenze lunghe e piani ravvicinati, tesi a restituire, senza filtri e come per incanto, l’intensità e la veridicità espressiva degli stati d’animo, con un’evidenza e un rilievo quali, dopo Pialat, al cinema non si erano più viste.
Le scene di sesso conservano esse pure una durata e una frontalità “scandalose” e pur necessarie. Nulla è occultato. Ma la potenza di quelle immagini ne fa cosa assai diversa dalla goffa e ambigua illustrazione e denuncia del voyeurismo colonialista e maschile che gravava su Venere nera.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: La vita di Adele
Regia: Abdellatif Kechiche
Cast: Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Salim Kechiouche, Mona Walravens, Jérémie Laheurte, Alma Jodorowski, Aurélien Recoing, Catherine Salée, Fanny Maurin, Benjamin Siksou, Sandor Funtek
Durata: 179 minuti
Genere: Drammatica
Distribuzione: Lucky Red
Data di uscita in Italia: 24 ottobre 2013
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