Sulle prime il dialogo tra i due protagonisti del film sembra destinato al fallimento. Se Alain, timoroso di esibire i propri sentimenti e perduto nell’attesa di un domani impossibile, si smarrisce in un fiume di discorsi inconcludenti, tesi a rievocare un passato e una giovinezza che non sono più, Marion si nasconde fieramente dietro il suo deliberato non dire per proteggere un vissuto che si intuisce assai doloroso. Ma, prima ancora che le parole, qui sono soprattutto i volti, gli sguardi, i piccoli gesti, i silenzi, i toni della voce a dirci chi sono veramente i personaggi della pellicola e a formare le tessere del discorso amoroso, restituendo l’affanno delle emozioni: i tormenti e le esitazioni, gli abbandoni e gli smarrimenti, le paure e le esaltazioni di cui si compone la storia di una passione “impossibile” tra due creature tra loro diversissime per età, aspetto fisico, temperamento (lui è un corpo massiccio e sgraziato, attraversato da lampi di ardente energia vitale; lei è una bellezza radiosa e, insieme, una donna disillusa, già rassegnata, segnata da ferite profonde), ma accomunate da un medesimo malessere: dalla penosa insoddisfazione verso un presente desolato, che è anche bisogno tormentoso di nutrire un sogno di vita e di felicità – lo stesso che consentirà loro, in extremis, di approdare a un’insperata salvezza.
I pregi del film vanno ricercati, innanzi tutto, nell’eccellente qualità della recitazione. Come di consueto, Gérard Depardieu divora la scena con il suo corpo e la sua voce, rivelando qui insospettate doti canore. Di fatto, egli sembra interpretare se stesso, mettendo allo scoperto le inquietudini segrete di un uomo ormai vicino alla senilità, una star in declino, che si sente superato dai tempi (nel film si parla di come il karaoke e il juke-box stiano soppiantando i complessi musicali) e vede scemare il successo che aveva accompagnato la sua carriera, e allora cerca disperatamente, attaccandosi all’amore di una giovane donna, di recuperare gli ardori di un passato ormai lontano. Cécile de France, in un ruolo per lei atipico, che rivela appieno il suo straordinario talento, delinea i tratti di una figura femminile misteriosa, che va cercando a tentoni, confusamente, una via di scampo da una condizione di sofferenza (le ragioni di quel malessere resteranno in larga parte sconosciute).
Xavier Giannoli, qui al suo terzo lungometraggio (ma già nelle sue precedenti pellicole si era dimostrato un ottimo regista di attori), si pone, giudiziosamente, al servizio dei suoi magnifici commedianti, adottando una messa in scena limpida, asciutta, senza svolazzi (ma nella seconda parte del film l’uso del montaggio conserva qualcosa di irrisolto: certi passaggi arrischiati da una sequenza a un’altra possono apparire ingiustificati: un richiamo incongruo alla lezione di Pialat?). L’attenzione è rivolta al quotidiano dei personaggi e allo spazio entro il quale essi si muovono: le sale da ballo popolari, i ristoranti, le case di riposo, i locali notturni dove Alain si esibisce, da solo o con il suo complesso, riproponendo un repertorio di vecchie canzoni (di Sylvie Vartan, Christophe, Michel Delpech, Daniel Guichard…) per un pubblico di ballerini attempati che gli è ancora affezionato. Un piccolo mondo marginale, provinciale (siamo a Clemont-Ferrand, nel cuore della Francia profonda) che Giannoli ci descrive con grande rispetto e simpatia. Nessuna condiscendenza snobistica, nessuna ironia nel suo sguardo, ma una vicinanza affettuosa e generosa – la stessa che lo indurrà a concedere ai propri eroi un inatteso e struggente lieto fine.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: Quand j’étais chanteur
Regia: Xavier Giannoli
Cast: Gérard Depardieu, Cécile De France, Mathieu Amalric, Christine Citti, Patrick Pineau, Alain Chanone, Christophe, Jean-Pierre Gros, Antoine de Prekel, Alain Kruger, Grégory Valais, Catherine Salviat
Durata: 110 minuti
Genere: Commedia
Uscita: 2006