Un uomo nudo ed insieme surreale è l’essere scolpito da Giacometti: non privo di abiti, ma di carne, sangue, struttura, insomma un uomo ridotto all’osso, che non esiste, ma vive, forse, in una dimensione surrealista, nell’inconscio di ciascuno di noi. Guardando le opere dell’artista si è toccati nelle corde più intime e lontane e portati a riflettere sulla natura umana e sulle sue strutture essenziali.
Dal 5 febbraio 2014 a Roma, presso la Galleria Borghese, una mostra celebra l’opera del grande scultore svizzero con una selezione di circa 40 pezzi. L’esposizione è curata da Anna Coliva e da Christian Klemm, illustre studioso dell’autore e realizzatore delle monografie più importanti sull’artista.
Una mostra affascinante nella quale i capolavori di Giacometti sono esposti accanto alle grandi sculture conservate nella Galleria: Femme couchée qui rêve (1929) accanto a Paolina Borghese di Canova (1805/1808); la marcia automatica, impersonale, cadenzata dell’Homme qui marche (1947) di fronte alla plasticità di Enea che regge il padre Anchise (1619) opera del Bernini. Ed allora, qui non solo si coglie la differenza di stile tra i secoli e di concezione della scultura, ma anche il significato che assume la figura umana nelle varie epoche. Bernini, servendosi della bellezza scolpita nelle sue giuste proporzioni e nell’armonia delle forme, mette in scena la virtù dell’uomo Enea che marcia verso un destino migliore nel rispetto dei valori familiari e tradizionali. L’uomo di Giacometti marcia, invece, come un automa, un ingranaggio di una macchina industriale sulla via di un secolo che ha già visto due guerre mondiali. Ed ancora l’equilibrio instabile dell’ Homme qui chavire (1950), che quasi sembra planare a terra, totalmente sospeso nel vuoto, indifeso, solo e vulnerabile anche ad un soffio di vento, viene presentato di fronte al David di Bernini (1623/1624), anch’egli fuori asse, ma, caricato dalla fede, è scolpito in modo vigoroso, sicuro con la sua fionda in movimento. Le due opere fanno riflettere su come il Novecento di Giacometti sia stato forse un secolo senza Dio, o almeno con un Dio lontano, lasciando l’uomo sospeso su se stesso, vulnerabile ed insieme artefice dei propri mali.
Lasciando queste considerazione alla sensibilità dei visitatori, a noi non resta che scrivere di una mostra lirica e drammatica, filosofica ed esistenziale, in una parola splendida: 40 opere tra bronzi, gessi e disegni capaci di trasmettere al ‘visitatore l’alone volumetrico di una drammatica cornice immateriale, invisibile ma sensibile.’
Diego Pirozzolo