Sdoppiato tra il desiderio di delineare il ritratto di una donna scoordinata e angolosa, che fosse un dichiarato omaggio a Gena Rowlands e al cinema di John Cassavetes, e l’ambizione di inscrivere entro i grandi spazi americani un racconto di forte trama, Julia funziona solo a metà. Non è sufficiente rifarsi nelle linee essenziali a una pellicola di culto (Giulia, con cui il film di Erick Zonca è legato con un filo leggero e pur inconfondibile) per avere la garanzia di un risultato certo. Il linguaggio aspro di Zonca non sembra possedere, almeno in questa occasione, la disinvolta incisività nell’aggredire il reale che attenua, in Cassavetes, la pressione dello stile. Di qui certi scompensi espressivi nell’affrontare, con repulsione mista a tenerezza, la messa a fuoco delle due figure femminili principali della pellicola.
Si sa, lavorare in America non è sempre facile per un regista europeo. E se in questi ultimi anni autori francesi di sicuro mestiere (Dumont, Tavernier, Cantet, Desplechin…) si sono lasciati ammaliare dalle lusinghe di Hollywood con esiti non sempre eccelsi, da Zonca il confronto con la logica dello studio sistem sembra sia stato pagato a caro prezzo.
Appare all’evidenza l’intenzione del cineasta di seguire le traiettorie classiche del thriller tradizionale: questo soprattutto nella seconda parte del film, quella ambientata a Tijuana, dove il racconto s’incanala verso il climax finale accumulando una tensione e una durezza crescenti. Al tempo stesso però la pellicola si avvale di una serie di registri inusuali rispetto alle norme del genere. A un impianto drammaturgico largo e disteso, dall’andamento talora un po’ caotico e che pur si concede ellissi vertiginose (in una di queste resta inghiottita Elena, la madre del piccolo Tom) corrispondono uno stile di recitazione sovraccaricato, che inclina a sfolgoranti durezze, e la presenza invasiva della macchina a mano, che comunque non si riduce a un virtuosismo fine a se stesso, poiché ha lo scopo di rispecchiare la situazione di instabilità e isteria in cui sono precipitati i personaggi femminili.
È agevole riconoscere nel film allusioni e riferimenti ai precedenti lavori del regista. Julia (ancora una volta una figura borderline) esprime qui l’anelito irriducibile a uscire da un’esistenza miserabile che era già stato di Marie (La vita sognata degli angeli) e di Esse (Il piccolo ladro). Anche in questo caso, le ragioni dell’agire dell’eroina sono un groviglio inestricabile di fragilità e squilibrio, pulsioni autodistruttive, bisogno di affermazione e selvaggia determinazione, dietro cui si andrà delineando, faticosamente, un singolare percorso di redenzione. Il finale del film – convulso e un po’ macchinoso – offrirà alla donna la possibilità di recuperare, attraverso l’insorgere dell’istinto materno, una nuova coscienza morale, a cui essa saprà ancorare le proprie residue speranze di riscatto.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: Julia
Regia: Erick Zonca
Cast: Tilda Swinton, Aidan Gould, Saul Rubinek, Kate del Castillo, Jude Ciccolella, Bruno Bichir, Kevin Kilner, Ezra Buzzington, Eugene Byrd, Horacio Garcia Rojas
Durata: 144 minuti
Genere: Drammatico
Uscita: 2008