Un viale alberato che conduce non si sa dove, fuori dalla fotografia. Una composizione orchestrata per obbligare lo spettatore della foto ad addentrarsi nel viale: non si può evitare di farlo. Cosa c’è oltre non è dato sapere. Coloro che hanno uno spirito avventuroso lo percorreranno con curiosità ed interesse, chi teme l’ignoto con un pizzico di apprensione. Ma Bresson, l’autore della foto, non ci lascia alternativa: chi guarda entra nell’immagine, nel suo mondo, nella sua poetica.
Usiamo questa immagine a mò di introduzione della imponente retrospettiva dedicata ad Henri Cartier-Bresson, che resterà aperta al pubblico a partire dal 26 settembre 2014 presso la sede dell’Ara Pacis a Roma.
Realizzata dal Centre Pompidou di Parigi in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson e promossa da Roma Capitale Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, viene presentata a dieci anni esatti dalla morte dell’artista e propone più di 500 opere tra fotografie, disegni, dipinti, film e documenti, riunendo le grandi fotografie che hanno segnato la storia dell’immagine, ma anche opere meno note del grande maestro: 350 stampe vintage d’epoca, 100 documenti tra cui quotidiani, ritagli di giornali, riviste, libri manoscritti, film, dipinti e disegni.
Questa mostra è un po’ come la fotografia del viale, ti conduce nell’arte del maestro, svelandoti una varietà di percorsi artistici seguiti da Bresson legati indissolubilmente dall’amore per l’immagine e per la ricerca. Il curatore ha ragione nel voler sostenere e dimostrare che non è esistito un solo Bresson, ma diversi, perché la curiosità non è stata mai sazia, come il desiderio di schiudere attraverso una fotografia, il senso e l’anima delle cose che sale in superficie e si impressiona sulla pellicola. «A volte mi chiedono – diceva Bresson – ‘Qual è la foto che preferisci tra quelle che hai realizzato?’. Non saprei, non mi interessa. Mi interessa di più la mia prossima fotografia, o il prossimo luogo che visiterò».
Ed ecco che la mostra è stata organizzata in tre macro sezioni: quella relativa al periodo che va dal 1926 al 1935, scandito dalle amicizie parigine dei Surrealisti e dai primi viaggi per il mondo; la seconda, dal 1936 al 1946, corrisponde al periodo del suo impegno politico, del lavoro per la stampa comunista e all’esperienza del cinema. Particolari sono le foto che ritraggono l’incoronazione di Re Giorgio VI: il grande maestro francese oltre a fotografare la gente accomodata nei primi posti, scatta anche delle immagini che ritraggono le persone presenti nelle ultime file, girate di spalle a guardare il Re attraverso alcuni specchi. Per realizzare tali foto anche lui si è dovuto girare di spalle, in tal modo ha potuto ritrarre l’evento ed allo stesso tempo si è potuto concentrare sul popolo, dando la schiena al Re: una sorta di piccola rivoluzione che dimostra una certa intelligenza visiva. Inoltre, come gli ultimi guardano il Re con l’ausilio di uno specchio montato su un’alta asticella, anche lui guarda loro attraverso un altro specchio, quello della fotografia. Si instaura una sorta di dialogo tra inquadrature, tra specchi: se vogliamo, una sorta di ulteriore dichiarazione d’interesse per l’immagine.
Il terzo periodo, invece va dal 1947 al 1970 ed è segnato dalla creazione della cooperativa Magnum Photos e dagli ultimi anni della sua attività di fotografo.
Una mostra ricca su un autore estremamente prolifico. È davvero difficile poter concentrare tutto in poche righe, ogni foto è un piccolo gioiello, richiede tempo per poter essere apprezzato, per godere delle sfumature dei grigi e della qualità della composizione. Ogni foto ti spinge in un viaggio, in una storia, in uno scorcio di contemporaneità. Ogni foto è un istante decisivo, da intendere non solo come l’acme di un momento significativo, ma come l’equilibrio perfetto tra l’organizzazione del caos del reale, la modulazione delle forme e dei volumi, delle luci e delle ombre, dei diversi toni di grigio. In una parola, Bresson cerca ed aspetta la perfezione. Si apposta come un cacciatore, attende la sua preda e solo quando la mente, il cuore e l’occhio sono sulla stessa linea di mira scatta.
Ma Bresson non è solo il padre di questa poetica. La mostra svela i molteplici volti ed interessi dell’autore, capace di spaziare dal Surrealismo alla fotografia pura, concettuale ed astratta. Un fotografo completo e complesso, non a caso definito “l’occhio del secolo“.
Per ultimo, come non commuoversi di fronte all’immagine di una figura ombra che salta su una pozzanghera di acqua. Sullo sfondo dei cartelli sbiaditi del circo, dei binari della ferrovia e un uomo che guarda forse il treno appena passato.
Un’opera che parla di tempo, ricca di simboli, che richiama al passaggio ed alla brevità della vita. Cos’è l’uomo se non un’ombra nella grande pozzanghera della vita, in bilico su una scala rovesciata, in cui il suo passaggio, rappresentato da un salto, quasi lambisce l’acqua ed è solo una parentesi (nella foto un cerchione di metallo che circonda l’ombra dell’uomo) destinata a svanire. Bresson l’ha fermata, ha colto in un infinitesimo di secondo l’immagine che potrebbe rappresentare la vita intera.
La mostra è prodotta da Contrasto e Zètema Progetto Cultura all’Ara Pacis fino al 25 gennaio 2015.
Diego Pirozzolo