È una donna suadente, orientale, dai tratti lievi, in ginocchio sul terrazzo accanto ad un vaso. La incontro tra maioliche di Iznik o di tradizione turco-ottomana del XV e XVI secolo, insieme ad altre siriane e persiane. Non ho attraversato mari e non ho viaggiato per terre lontane, ma è la prima volta che la vedo dal vivo, in un’atmosfera da sogno, tipicamente mediterranea. Lei è Zorah sulla terrazza, adagiata alla parete della sala 4 presso le Scuderie del Quirinale. Opera straordinaria di Matisse, ritratta con i colori più acuti e tipici del Mediterraneo.
Un quadro dal tratto essenziale, estremamente semplificato, che restituisce a chi lo guarda quell’effetto “tessile”, volutamente cercato dall’autore, composto di trame di pittura e colore ispirate dal Marocco e dalla conoscenza del mondo islamico.
Matisse possedeva tessuti di tutte le regioni del mondo con cui usava tappezzare le pareti dei suoi atelier, nello stile delle abitazioni dei nomadi; ma “La révélation m’est venue d’Orient” diceva ed infatti saranno l’Oriente, l’Africa e la Russia che lo influenzeranno nella ricerca di nuovi schemi compositivi basati sulla semplificazione della forma, la purezza delle linee e la sublimazione del colore.
Siamo ad Arabesque, la grande mostra dedicata a Matisse, organizzata a Roma ed aperta al pubblico dal 5 marzo al 21 giugno 2015 presso le Scuderie del Quirinale.
Curata da Ester Coen, con un comitato scientifico composto da John Elderfield, Remi Labrusse e Olivier Berggruen, proposta dalle Scuderie del Quirinale, con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura, l’esposizione è stata allestita dall’Azienda Speciale Palaexpo in coproduzione con MondoMostre.
Arabesque, ha sostenuto la curatrice, è “la forza di un’idea che, contemporaneamente, allude ad una visione concettuale, all’interpretazione di una superficie pittorica, al richiamo di tradizioni culturali che nell’ornamentazione racchiudono il senso di una simbologia basata sugli archetipi di natura e cosmo“.
Ci si muove da una sala all’altra come in un viaggio fatto di incontri straordinari. Ecco il Ritratto di Yvonne Landsberg del 1914, che ricorda le Demoiselles d’Avignon, essenziale nel tratto pittorico e stagliato su uno sfondo nero con il volto simile a quello di una maschera africana. Nello stile traspare tutto il suo interesse per il primitivismo, un’arte istintiva ed emozionale, che non rappresenta la realtà sotto la legge della verosimiglianza, ma della visione, “frutto dello stato primordiale – ricorderà Matisse in merito – dello spirito che non si può rigenerare artificialmente“.
Il colore riesplode passando a leggere Ramo di Pruno su fondo verde della fine degli anni quaranta, e Fruttiera ed Edera in fiore del 1941, ispirati questa volta dai motivi decorativi dell’estremo oriente. Accanto alle opere, per amplificare il senso di straneamento e suggestione, sono collocati ceramiche e surimono giapponesi che riprendono le forme ed i motivi dei quadri alla parete.
Ed ancora figure di donne: la fascinosa sensualità delle Due modelle in riposo del 1928. Distese con il volto assorto in un incedere di toni armoniosi e ben calibrati, come se fossimo di fronte ad un arazzo. O il Nudo in poltrona, opera nella quale la predominanza di linea e colore ha quasi inglobato la forma, rappresentando una donna appena accennata nelle fattezze, ma estremamente languida ed erotica.
In altre sale sono esposti abiti di scena disegnati per i Balletti Russi di Diaghilev. Accompagnati dalle note di Stravinskij, si possono ammirare i costumi del Chant du Rossignol del 1920, realizzati per la coreografia di Léonide Massine.
In ultimo, l’esposizione offre i disegni di foglie, alberi e piante, dalle superfici smisurate e collocati sulle pareti come a formare un’immensa foresta vegetale. Si arriva così a I pesci rossi, capolavoro che chiude la mostra e sintetizza nella sua esplosione di colori, di motivi e di forme, tutte le tematiche care all’autore presenti nei quadri esposti alle Scuderie del Quirinale. Come il pezzo finale di un concerto, I pesci rossi stordisce e seduce il visitatore, lo accompagna fuori dalla mostra, lasciando quel retrogusto vellutato e setoso dei grandi Bordeaux d’annata, che tarda a scomparire e piacevolmente fa risalire l’emozione per essersi trovati al cospetto di un artista straordinario.
Diego Pirozzolo