Una psicologa al museo
“La persistenza della memoria” è uno dei più famosi dipinti di Salvador Dalì. L’opera raffigura un paesaggio in cui tre orologi catturano lo sguardo dell’osservatore per la loro singolarità, forma e consistenza. Sono flessibili e si adagiano, assumendo la foggia dei loro sostegni.
L’autore stesso racconta di aver voluto utilizzare la particolare atmosfera come ambientazione per delle immagini sorprendenti, laddove la creatività degli “orologi molli” rimanda ad una profonda riflessione sul tempo.
Il suo succedersi è costantemente e rigorosamente scandito dalla misurazione dello scorrere di secondi, minuti, ore, giorni, settimane… dati che tentano di quantificare una dimensione che sembra oggettiva, fissa, calcolabile in modo preciso e puntuale con orologi e calendari. Ma a tali strumenti tecnici sfugge un dato, quello più rilevante eppure, paradossalmente, non rilevabile, non calcolabile, non quantificabile e non tangibile: l’esperienza umana. Questa mette in crisi l’oggettività del tempo poiché, come a tutti sarà possibile riconoscere, i secondi sono altra cosa degli attimi…
Nell’opera si fa esplicito riferimento alla memoria umana, ma l’idea dell’autore si può estendere, più in generale, al nostro vissuto temporale.
I dieci minuti precedenti una discussione di laurea o i dieci seguenti la proclamazione, i dieci minuti trascorsi in attesa della moglie partoriente, o quelli in attesa di una diagnosi in un pronto soccorso sono sempre dieci minuti. Oggettivamente gli stessi dieci minuti. Eppure non sono affatto uguali, perché percepiti soggettivamente in modo differente. E ciò ha strettamente a che fare con il modo in cui li viviamo. Come stiamo, cosa sentiamo, emozioni, sensazioni, idee che ci accompagnano nell’attraversarli, discorsi che ci facciamo mentre trascorre quel frangente temporale che può – insieme – essere breve o infinito, mentre passano quei “soli” o “interminabili” dieci minuti.
L’opera richiama, dunque, il concetto di relatività di Einstein e traspone straordinariamente in immagine questa riflessione sulla flessibilità di un elemento – il tempo – apparentemente oggettivo e uguale per tutti. E se questo è vero nella percezione in stato di veglia, lo è ancor di più durante il sonno. O meglio il sogno, a cui il quadro fa chiaramente riferimento, come lo stesso autore spiega, nel raccontare che il paesaggio è ricco di suoi ricordi. E questi, in quanto prodotto dell’inconscio, appaiono deformati, così come gli orologi, con la loro consistenza quasi fluida, simboleggiano la soggettività del tempo e della sua percezione nella memoria.
Questa plasticità temporale riguarda sia diversi individui in diverse fasi della vita, sia uno stesso individuo in diversi contesti. Un bambino ha una percezione temporale molto particolare, legata al qui ed ora; un adulto vive scandendo tempi e ritmi delle giornate in base al lavoro ed agli impegni; un anziano vive una fase della vita in cui la prospettiva futura e, conseguentemente, i progetti strettamente individuali si riducono progressivamente ed il vissuto del passato e della memoria si allargano enormemente.
Il tempo non è uguale per tutti.
Gli orologi che flessibilmente si adattano, simboleggiano l’elasticità del tempo e della sua percezione nel ricordo. L’autore riesce in modo acuto con questa immagine sorprendente a ribaltare le regole fisse, quasi scontate, che scandiscono ritmicamente la vita quotidiana e ad insinuare un grande interrogativo ed una filosofica riflessione su questa inafferabile ed enigmatica dimensione: il tempo.
“Quando un uomo siede un’ora in compagnia di una bella ragazza,
sembra sia passato un minuto.
Ma fatelo sedere su una stufa rovente per un minuto
e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora.
Questa è la relatività”.
Albert Einstein
Valentina Carleo
Psicologa Psicoterapeuta