La neve, a Corigliano Calabro, non è un fatto climatico né raro né frequente. Quando cade, reca un qualche disagio ed un po’ d’allegria. Per la zona collinare, però, sopra il Piano di Caruso, essa rappresentò in passato, almeno fino alla prima metà del Novecento, materia di lavoro e di guadagno per non pochi montanari ed anche per alcuni abitanti dell’antico borgo. Ci fu, insomma, una piccola industria della neve, fondamentalmente a gestione familiare, ma con impiego anche di manodopera esterna per taluni compiti.
Il tutto aveva inizio col raccoglierla, su uno strato di paglia, in fosse ampie e profonde, appositamente scavate in aree poco o per niente esposte al sole e alle correnti. Ben pressata, poi, per impedire infiltrazioni d’aria, si provvedeva a ricoprirla con un altro strato di paglia o di felci, con sopra un altro strato di sale ed un altro di terra. Un manto di rami, infine, completava la copertura, rendendo il deposito, come oggi si dice, sotto vuoto.
D’estate, quella neve, sollevato lo strato protettivo, veniva tagliata a pezzi e, in cesti ben capienti, trasportata in paese a dorso di mulo o di asino. La si poteva acquistare, così, al minuto, un soldo al pezzo, presso i tanti fruttivendoli del luogo, per farne l’uso più adatto ai gusti e alle possibilità delle famiglie, in tempo in cui ancora non c’erano refrigeratori e congelatori.
C’è un posto, a circa dieci chilometri dal paese ed a mille metri d’altezza, che conserva nel nome questa antica attività: si chiama ‘Fossa ‘i ra niva’, cioè fossa della neve, a metà strada tra Piano di Caruso e Baraccone, in contrada Cozzo Domenichella. Qui c’era, per la conserva della neve, l’impianto più importante per superficie e capacità, ma altri impianti, di minore dimensione, funzionavano, verosimilmente, sempre in località montana, ancora più in alto, fino a lambire i comuni di Acri e Longobucco. Il dato mi proviene dai racconti, con i quali suole ancora intrattenermi mia madre Gina, ottantanovenne, ma nella mente oltremodo lucida. Dunque, ricorda lei che suo nonno, Giuseppe Longo – correvano i primi anni trenta del ‘900 – aveva costruito una ‘nivera’, un piccolo impianto, cioè, per la raccolta, la conservazione e la commercializzazione della neve, in una sua proprietà, in località San Pietro in Angaro, comune di Longobucco. Di là, nella stagione estiva, nonno Giuseppe periodicamente scendeva in paese con asini e muli carichi di buona frutta ed anche di pezzi di ghiaccio debitamente avvolti in sacchi isolanti. Il ghiaccio veniva scaricato in un locale di proprietà di famiglia, appena all’inizio di via San Francesco, sulla parte sinistra. Lì si provvedeva alla vendita al pubblico, secondo richiesta.
Una curiosità: in provincia di Agrigento, nel comune di Montevago, v’è una località consimile alla nostra per denominazione, ‘Fossu di la nivi’, per via di una fossa scavata dai Fenici nella roccia e già adibita a deposito di grano. Più tardi, gli abitanti del posto la trasformarono in fossa, per accumularvi la neve invernale, da usare nella stagione calda.
Giulio Iudicissa