I bambini della scuola paritaria dell’infanzia di Albano Laziale, grazie ad un metodo innovativo sviluppato da Iole D’Agostino, Francesco Saverio Teruzzi e Gianna Del Giovane, si sono cimentati in lavori di creatività e di conoscenza utilizzando il simbolo del Terzo Paradiso (ideato da Michelangelo Pistoletto). Un modo per entrare nello spirito di quello che il Terzo paradiso rappresenta e per imparare fin da piccoli ad amare e rispettare tutto ciò che è intorno, partendo da un lavoro dedicato alla sana alimentazione.
Il Terzo Paradiso nasce dalle riflessioni e dalla ricerca di Michelangelo Pistoletto, che lo ha presentato nel 2005 in occasione dalla 51a Biennale di Venezia attraverso la mostra “L’isola interiore: arte della sopravvivenza”, curata da Achille Bonito Oliva.
“Il progetto del Terzo Paradiso – ha scritto Michelangelo Pistoletto – consiste nel condurre l’artificio, cioè la scienza, la tecnologia, l’arte, la cultura e la politica a restituire vita alla Terra, congiuntamente all’impegno di rifondare i comuni principi e comportamenti etici, in quanto da questi dipende l’effettiva riuscita di tale obiettivo.
Terzo Paradiso significa il passaggio ad un nuovo livello di civiltà planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza”.
Graficamente viene rappresentato come un’estensione del simbolo dell’infinito, nel quale però sono presenti tre forme circolari coincidenti con i tre paradisi: il primo, quello dell’io, della natura, ecc.; il secondo del tu, della tecnica, dell’artificio; al centro, infine, il terzo come sintesi e congiunzione dei due paradisi e nel quale io, tu diventano noi, mentre natura e tecnica si fondono nel rispetto l’una dell’altra per dar vita ad un mondo sostenibile.
Iole D’Agostino, avete deciso di rivolgervi ai ragazzi sviluppando un metodo basato sul Terzo Paradiso per affrontare il tema della sana alimentazione. Quale è stata la scintilla creatrice per realizzare il progetto?
«Collaboravo già da un anno con Francesco Saverio Teruzzi quando, un bel giorno, mi ha chiesto di pensare a qualcosa inerente al Terzo Paradiso per i più piccoli, magari adoperando il simbolo. Nella scuola dove ho lavorato quest’anno c’era un progetto sull’alimentazione e questo mi ha dato l’idea di rendere il simbolo del Terzo Paradiso un metodo pratico per educare i bambini alla sana alimentazione. Attraverso il confronto con Saverio e Gianna abbiamo elaborato il percorso, definito i punti cardine e scelto gli alimenti. Le tecniche le ho rielaborate io, le fasi delle stesse sono nate dalle necessità dei bambini, seguendo i suggerimenti di Gianna e delle altre insegnanti, alcune delle quali hanno inventato alcuni moduli, plasmandoli sulle necessità dei bambini della loro sezione. Il simbolo del Terzo Paradiso è diventato un metodo, un mezzo o, come dice Gianna, “un Abaco”!
La complessità del simbolo è dovuta ai concetti che racchiude e che ovviamente non esplicita in modo subitaneo ma, allo stesso tempo, contiene anche quella sintesi che consente a un bambino di comprendere. Il simbolo del Terzo Paradiso racchiude concetti universali: in un certo senso contiene passato, presente, futuro, aspettative, principi morali ed etici. È una struttura complessa, se l’analizziamo dal punto di vista semantico, ma in quanto simbolo contiene la semplicità dell’icona e ci permette di gettare quel seme della conoscenza che crescerà con i bambini, secondo la loro indole».
Dunque, Gianna Del Giovane, un metodo innovativo?
«Il metodo è stato una rivelazione, una scoperta in itinere, una dovuta costatazione di come, ragionando in termini di simbolo del Terzo Paradiso, ogni argomento da trattare poteva essere sviscerato a fondo. Potevamo analizzare in profondità ogni argomento eppure renderlo semplice e divertente».
Francesco Saverio Teruzzi quali sono gli aspetti peculiari e le finalità del metodo?
«L’aspetto peculiare del metodo è il riuscire a mantenere vivo il concetto di fantasia e immaginazione che è proprio dei bambini e che è alla base della creatività, passando dalla teoria alla pratica attraverso la sostenibilità dell’insegnamento, che in questo caso non è un fine, ma un mezzo. La finalità è il non dis-apprendimento, in quanto per i bambini l’utilizzo della propria curiosità, del contatto, della relazione è innato e deve rimanere parte integrante del loro diventare adulti».
«Tutto il materiale che abbiamo adoperato è di riciclo – aggiunge Iole D’Agostino -. Ogni modulo è di per sé indipendente e le schede che lo compongono e i vari moduli presentano difficoltà crescenti. Il lavoro è così strutturato in quanto è finalizzato a sviluppare le capacità manuali e cognitive del bambino.
Le tecniche adoperate per realizzarle sono quelle della migliore tradizione accademica, ma rivisitate a misura di bambino e in funzione del riuso. I bambini non solo hanno imparato a riconoscere le tecniche, le loro caratteristiche e ad utilizzarle liberamente, ma sono ormai in grado di riconsiderare con creatività quello che prima sembrava da cestinare: tutto è diventato un’opportunità e un potenziale qualcos’altro, quasi una piccola iniziazione al valore dell’essenza. Dal collage alla serigrafia, i materiali utilizzati, tranne i colori e la colla, sono di riuso. Con i bicchieri di plastica, gli stessi dai quali abbiamo bevuto il succo d’arancia, abbiamo creato il modulo sull’arancia; l’alluminio che avvolgeva la zucca è diventato montagna; il cartone della cassettina dell’uva è diventato matrice di stampa, e via discorrendo».
L’arte ai bambini: quanto è importante, secondo voi, l’insegnamento, non solo a livello storico, ma anche tecnico e concettuale?
«Io penso che l’arte sia l’unica rivoluzione possibile, quindi è assolutamente indispensabile – sostiene Iole D’Agostino -. Avvicinare un bambino e regalargli dell’arte è un hic et nunc fatto di stupore e meraviglia. La sovrastruttura culturale successiva non potrà dargli mai la stessa intensità. È regalargli il mondo delle possibilità fatto di anima, creatività e volontà. Ho visto bambini porsi di fronte a opere di Van Gogh e analizzarle come grandi critici. Li ho visti comprendere in pochi istanti, li ho visti cogliere l’animo dell’artista e raccontarlo attraverso poche, chiare, esatte parole. Noi adulti non ne siamo più capaci. I bambini producono capolavori, trovano soluzioni, frugano nel cilindro della fantasia e tirano fuori il coniglio che racchiude l’anima segreta del mondo. Quando immaginano, intensamente vivono nella terra del “tutto può essere”. L’arte è viaggio e catarsi, ci rinnova e ci trasforma, ci mette in contatto con il nostro io. L’arte è confronto costante, ci educa al rispetto; è storia che ci trasporta verso le nostre stesse radici e non solo: ci dà la dimensione delle altre civiltà e della bellezza che sono state in grado di produrre. L’arte ci mette a confronto con la diversità, con l’altro che vive in ogni luogo e in ogni tempo, educa alla responsabilità, alla pazienza, alla collettività, ma anche alla libertà, al rispetto dell’individualità propria e altrui. Io educo all’arte perché mi piace pensare che tutti possano nutrirsi da questa madre, che ci rende, al tempo stesso, universali e unici, nei nostri pregi e nei nostri difetti».
Lei, Gianna Del Giovane, cosa ne pensa?
«Perché l’arte ai bambini? Perché no?, dico io. Innanzitutto perché l’approccio all’opera d’arte non presuppone una conoscenza intellettuale del prodotto artistico, ma un approccio immediato, sensoriale, primitivo, archetipo all’opera, che solo la mente pulita e non contaminata di un bimbo può avere. L’opera d’arte parla al bambino con il suo linguaggio, si porge fiduciosa alla sua innata curiosità, si lascia indagare benigna e attende che il bambino riconosca in lei il comune denominatore del genere umano».
«Il bambino – ci risponde Francesco Saverio Teruzzi – nasce hardware puro, usando terminologia contemporanea. Nei suoi primi anni di crescita inizia a incamerare nozioni, esperienze e software, ossia i programmi che inizierà a usare e sperimentare per il resto della vita. Aiutarlo a conoscere l’arte e la creatività lo porterà ad avere processi cognitivi più aperti, più all’avanguardia, rendendogli più semplici le azioni decisionali quotidiane».
Diego Pirozzolo