Già nelle scene iniziali del film appare all’evidenza come Diamante nero costruisca la sua logica narrativa sulla contrapposizione di due universi separati e conflittuali, all’interno dei quali l’eroina viene a realizzare il suo percorso di crescita. Da un lato avremo allora il corpo collettivo e femminile, con il suo caloroso spirito di gruppo: la squadra di football americano di cui Marieme fa parte, il cui cameratismo chiassoso prefigura già la vitalità spavalda, non domata della bande de filles; dall’altro la società maschile: un microcosmo chiuso e costrittivo entro cui gli uomini esercitano un potere dispotico sulle donne della comunità, isolandole, rendendole vulnerabili, asservendole alle proprie leggi: la famiglia, dove la ragazza è sottomessa all’autorità del fratello maggiore, un individuo collerico che, geloso custode della moralità domestica, non perde mai l’occasione di alzare le mani sulla sorella; il quartiere, dove si annidano tensioni e lacerazioni irrisolte; la scuola stessa, da cui Marieme sente di essere emarginata.
L’incontro con Lady e le sue amiche consentirà a Marieme di sottrarsi al ruolo che altri hanno deciso di imporle: quello, oggi, di ragazza docile e ubbidiente; domani, di sposa e madre sottomessa. Le coetanee che l’eroina prende a frequentare sono persone libere e disinibite, piene di energia e gioia di vivere, giovani donne che, non accettando di lasciarsi sopraffare né programmare dallo sguardo degli uomini, hanno il coraggio di esibire in modo sfrontato un modello di femminilità “scandaloso”. Quello che esse coltivano è la celebrazione festosa dei desideri, l’eros fuori dai codici, dove la sensualità diviene resistenza attiva all’opacità del reale. Lady e le altre costituiscono per Marieme una sorta di alterità culturale: posseggono uno stile di vita personale (che comporta tuttavia un lato primitivo, barbarico: l’uso dell’aggressività verbale e fisica, penoso retaggio dell’ambiente in cui sono cresciute) e una loro estetica: l’immagine che queste ragazze vogliono offrire di sé acquista un peso rilevante. Esse sono consapevoli del fascino che esercitano sul maschio, e godono visibilmente nel mostrarsi, nell’apparire, nell’agghindarsi in modo provocante e stravagante. Esibendo con forza le proprie capacità di seduzione, le filles mirano ad affermare la loro presenza fisica come un gesto di sfida.
Integrandosi nell’unità del gruppo ludico e tribale (la scena in cui le ragazze cantano e ballano in una camera d’albergo al ritmo di Diamonds di Rihanna, è un rituale festoso in cui, lontano dallo sguardo maschile, si consuma l’armonia collettiva liberata, la condivisione gioiosa), Marieme troverà calore, complicità solidale, protezione. Ciò le consentirà di acquisire maggior sicurezza in se stessa e affrancarsi dallo spazio familiare regressivo, e dalle sue costrizioni e vessazioni, dai suoi tabù.
Marieme è una figura dinamica, che si muove, si trasforma per diventare se stessa. Entrando nella banda, la ragazza scopre il rispetto di sé, la sua dignità di persona. Diventa un’altra. Sceglie un nuovo nome: Vic, ovvero Vittoria. Adotta nuovi codici di comportamento. Cambia il suo aspetto fisico. Diviene più sensuale. Decide di vestirsi in modo più appariscente.
Ma il percorso di emancipazione dall’autorità maschile resta un percorso accidentato. Se nei rapporti con Ismael, il ragazzo che le vuole bene, è ora lei a prendere l’iniziativa, l’apparizione improvvisa di Abou, un losco figuro che la indurrà a spacciare nei quartieri ricchi della capitale, è lì a rammentarci come per un’adolescente della banlieue la tentazione della dipendenza (e la scelta della delinquenza) sia sempre in agguato.
Allo stesso tempo Marieme avverte quanto di labile vi sia nel ribellismo sfrenato e incosciente delle sue nuove amiche, le quali, dietro l’aria spavalda con cui affrontano le risse di strada, restano pur sempre adolescenti allo sbando, incapaci di uscire da una condizione di emarginazione. La stessa Lady, umiliata in duello da una ragazza rivale, rivela appieno il lato patetico della sua segreta fragilità. Marieme comprende che l’esperienza con la bande de filles non può essere una meta finale, ma solo una tappa per accedere alla condizione adulta. Sceglie così di abbandonare il gruppo e far parte a se stessa avviando in tal modo una nuova fase del suo itinerario di crescita. Nel contempo ha acquisito una sorta di identità virile e, come già la ragazzina di Tomboy, ha preso a interrogarsi sulle proprie inclinazioni sessuali…
Dopo Naissance des pieuvres e Tomboy, Céline Sciamma torna a parlare di adolescenti malate d’ inquietudine, in cerca di se stesse, e ne celebra, con una sensibilità squisitamente francese e femminile, la bellezza dei corpi e delle posture, l’intensità dei volti e degli sguardi. L’autrice sceglie ancora una volta le periferie urbane, eleggendo a eroine del film un gruppo di ragazze di origine africana della banlieue parigina, calate dunque nella quotidianità disagiata di un preciso milieu sociale, lo stesso che certo cinema francese ha esplorato negli ultimi decenni ora per comporre in forme manierate e ambigue, enfaticamente spettacolari, un’estetica della violenza giovanile delle cité (Kassowitz, Richet), ora per riflettere sulla dinamica dei desideri, sugli slanci e trasalimenti affettivi della gioventù dei sobborghi (Kechiche). E tuttavia la scelta di dare pieno risalto allo spazio scenico e di filmare le tensioni del presente ancorando il racconto alla realtà contemporanea delle banlieue, convive con l’esigenza della cineasta di tenersi lontana dalle lusinghe del facile determinismo ambientale e di sottrarsi alle rigidità e agli inciampi del naturalismo moralistico e tribunizio. Diamante nero non aspira a farsi discorso sociologico, pamphlet politico militante e di denuncia. Ricusa il registro estetico “neutro” che è tipico del cinema sociale. Rinuncia, ad esempio, all’uso della macchina a spalla, da sempre uno stilema consolidato del film di banlieue. La Sciamma sposa piuttosto il respiro del cinema classico erigendo un’architettura narrativa fluida, che consente alla vicenda di prendere un’allure naturale, pur tra continui mutamenti di ritmo e di registro (il film alterna elementi di commedia a tonalità più cupe e drammatiche).
Rispetto alla cifra stilistica compatta e sorvegliata di Tomboy, pare di cogliere qui una misura compositiva più sbrigliata e sfilacciata: Si avverte una maggiore vicinanza verso il personaggio principale: l’autrice – una donna che crede nelle ragioni del proprio sesso – tende a stabilire un rapporto di empatia con la sua protagonista, e questo viene a tradursi in una vibrazione nuova.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: Diamante nero
Regia: Céline Sciamma
Cast: Karidja Touré, Assa Sylla, Lindsay Karamoh, Marietou Touré, Idrissa Diabate, Simina Soumare
Genere: Drammatico
Durata: 113 minuti
Distribuzione: Teodora Film
Uscita: giugno 2015