Al Teatro di San Carlo di Napoli riprende la stagione sinfonica all’insegna del grande repertorio tedesco.
Sabato 6 (ore 20.30) e domenica 7 febbraio 2016 (ore 18.00) nel prestigioso teatro risuoneranno, infatti, le note di Ludwig van Beethoven e Richard Strauss.
Un repertorio struggente che parte dal Concerto n. 3 in do minore per pianoforte e orchestra, op. 37 (1803) di Ludwig van Beethoven, culmina con la Danza dei sette veli da Salome (1905), e termina con la suite per orchestra Der Rosenkavalier (1944 la suite, mentre 1911 Der Rosenkavalier) di Richard Strauss.
Sul podio dell’Orchestra del San Carlo Ralf Weikert e al pianoforte Rudolf Buchbinder. Entrambi austriaci, Buchbinder e Weikert sono tra i maggiori interpreti del repertorio classico e romantico, soprattutto di matrice tedesca.
Rudolf Buchbinder è conosciuto a livello internazionale per essere uno tra i massimi esponenti della tradizione interpretativa beethoveniana, mentre Ralf Weikert è più noto per l’esegesi mozartiana e rossiniana.
Ludwig van Beethoven si dedicò alla composizione del Concerto n. 3 in do minore per pianoforte e orchestra, op. 37, dal 1800 al 1803, per poi eseguirlo al pianoforte, avendo sul podio Ignaz Ritter von Seyfried, al Theater an der Wien il 5 aprile 1803.
Il Concerto n. 3 è considerato una pietra miliare nella storia della composizione pianistica.
Il Concerto è suddiviso in tre movimenti Allegro con brio; Largo (mi maggiore); Rondò. Allegro.
Può far sorridere che la musica di Salome abbia suggerito al compositore un contesto di ‘elfi’, in un famoso decalogo che proprio Richard Strauss scrisse nel 1925, indirizzato a un giovane direttore d’orchestra: “Dirigi Salome ed Elektra come se fossero state scritte da Mendelssohn: musica di elfi.” Così, immaginare la sensuale Danza dei sette veli, prodromo di una truculenta decapitazione (quella di Giovanni Battista), nel medesimo contesto quasi fiabesco, può lasciare quantomeno perplessi, ma fa parte della travolgente ironia di Strauss, in un’epoca di repentine rivoluzioni: storiche, industriali, sociali, di evoluzione scientifica e di progresso meccanico e tecnico; un fermento che in meno di due lustri avrebbe portato allo scoppio del primo conflitto mondiale. Richard Strauss reagì a questo parossismo con esiti diversi: se in Salome è lapalissiano il suo tendere verso una rottura, nel Rosenkavalier si volse consapevolmente a un passato aureo, con moti di estrema nostalgia, recuperando forme e stilemi quasi anacronistici, calati in un’orchestrazione post-wagneriana, sull’onda di un languido decadentismo, che preannunciava lo sgretolarsi dell’Impero Asburgico. Il valzer ritorna, rielaborato più volte, ma con accenti melanconici e soprattutto, ancora una volta, connotati da un’ironia amara, struggente e stridente, come il valzer del Barone Ochs, ampiamente citato nella suite orchestrale, eseguita per la prima volta a New York il 5 ottobre del 1944 con Artur Rodzinski sul podio, che la diresse dopo averne curato l’arrangiamento.