Un orologio appena visibile sullo sfondo che si distingue tra le sagome dei tetti; in basso un’ombra vicino alle inferriate e del vapore lasciato da un treno appena passato; ci sono dei cartelloni sgualciti, un pò logori, di uno spettacolo circense, che forse ha abbandonato la città: ritraggono la sagoma di una ballerina nell’atto di compiere un agile salto. Intorno una grande pozzanghera e l’ombra di un uomo che da una scala rovesciata prova a saltare compiendo un gesto speculare a quello della ballerina ritratta: la foto lo cattura proprio nell’attimo in cui l’uomo, non tocca, ma sembra l’ambire l’acqua.
Uno scatto memorabile di Bresson, reso ancor più affascinante dalla grana diffusa e dal lieve modulare dei toni di grigio in un perfetto equilibrio di luci ed ombre, ma anche di forme geometriche, pesi e leggerezze, che risolvono la fotografia in un unicum compositivo di grande maestria.
Si intitola Place de l’Europe, Stazione Saint Lazare (Parigi 1932) ed è l’immagine guida scelta per una nuova rassegna monografica allestita alla Villa Reale di Monza. Quando è stata scattata Bresson aveva 24 anni, usava una fotocamera Leica da appena due anni. «Sono solo un tipo nervoso, e amo la pittura. […] Per quanto riguarda la fotografia, non ci capisco nulla», affermava, segno che ancora fluttuava tra la Parigi dell’epoca alla ricerca della sua vera vocazione artistica.
C’è una strana malinconia nella foto, come se il soggetto ritratto fosse il fluire del tempo: dall’orologio che lo segna, al vapore sui binari di un treno già partito, ai manifesti di uno spettacolo che fu, a quell’uomo che salta da una scala, simbolo di un equilibrio instabile, verso l’acqua che tutto rende un riflesso e che in tante opere d’arte il suo scorrere è stato spesso metafora della vita. Quell’uomo è un’ombra, un riflesso, all’interno di una parentesi formata da un semicerchio di metallo posato sull’acqua, come se la stessa vita si condensasse in quell’essere ombra, riflesso, parentesi nel tempo eterno e non altro più.
Una foto aperta, ma con tutti gli elementi della composizione in perfetto equilibrio, che si lascia interpretare, che dialoga con lo spettatore suscitando sensazioni ed emozioni, che ci rivela la grandezza di Bresson, consacrandolo tra i più grandi artisti fotografi del XX secolo.
La rassegna, curata da Denis Curti, mira proprio a far conoscere e capire il modus operandi di Henri Cartier-Bresson, il suo particolare desiderio di ritrarre ed entrare in contatto con le persone nei luoghi e nelle situazioni più diverse, alla ricerca di quell’istante decisivo da catturare con la fotocamera, in modo da provocare meraviglia, stupore ed offrire una inquadratura della realtà che svela contenuti spesso imprevisti e sorprendenti.
«Fotografare – sosteneva il fotografo – è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. È mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore».
La poetica, a lui tanto cara, “dell’istante decisivo” non è solo l’acme di un momento drammatico o carico di pathos, ma il perfetto equilibrio delle luci, ombre, forme geometriche all’interno dell’inquadratura, una sorta di momento magico in cui ogni elemento strutturale e contenutistico dell’immagine risulta risolto in modo perfetto e coerente.
«Per parlare di Henri Cartier-Bresson – afferma Denis Curti – è bene tenere in vista la sua biografia. La sua esperienza in campo fotografico si fonde totalmente con la sua vita privata. Due episodi la dicono lunga sul personaggio: nel 1946 viene a sapere che il MOMA di New York intende dedicargli una mostra “postuma”, credendolo morto in guerra e quando si mette in contatto con i curatori, per chiarire la situazione, con immensa ironia dedica oltre un anno alla preparazione dell’esposizione, inaugurata nel 1947. Sempre nello stesso anno – continua Curti – fonda, insieme a Robert Capa, George Rodger, David Seymour e William Vandivert la famosa agenzia Magnum Photos. Insomma, Cartier – Bresson è un fotografo destinato a restare immortale, capace di riscrivere il vocabolario della fotografia moderna e di influenzare intere generazioni di fotografi a venire».
La sua fortuna di pubblico e critica continua anche oggi, tanto che il fotografo risulta ancora tra i più amati ed apprezzati. Un testimone rigoroso del suo tempo capace di cogliere la contemporaneità delle cose e della vita.
La mostra, dal titolo Henri Cartier Bresson Fotografo, raccoglie circa 140 scatti è promossa dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza e da Nuova Villa Reale di Monza in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos Parigi ed è organizzata da Civita Mostre con il supporto di Cultura Domani.
La rassegna rimarrà aperta al pubblico fino al 26 febbraio 2017.
Diego Pirozzolo
@diegogen