La Triennale di Milano, dal primo febbraio al 19 marzo 2017, ospita la mostra “Collezione Giuseppe Iannaccone Italia 1920 – 1945. Una nuova figurazione e il racconto del sé“, a cura di Alberto Salvadori e Rischa Paterlini.
La collezione, nata nei primi anni Novanta, abbraccia un arco temporale che va dal 1920, anno del dipinto L’attesa di Ottone Rosai, al 1945, con Il postribolo di Alberto Ziveri.
La raccolta riunisce opere di artisti che hanno sviluppato, durante il venticinquennio, visioni individuali e collettive controcorrente rispetto alle politiche culturali di ritorno all’ordine e classicità monumentale novecentista.
I due estremi cronologici raccontano bene una storia di cultura innovatrice, di furori giovanili non sopiti, persino di franca opposizione contro il ritorno alla tradizione nazionale, le mitologie neoumanistiche del fascismo e le consolazioni offerte da alcune correnti formaliste e astratte. Realizzate tra il 1920 e il 1945, le opere hanno fatto i conti con una cultura figurativa europea che ha riconosciuto nella forza eversiva del segno e del colore la propria identità.
Il concetto di espressione individuale fa da collante ai lavori: dalla poesia del quotidiano di Ottone Rosai e Filippo De Pisis all’espressionismo della “Scuola di via Cavour” (Mario Mafai, Scipione, Antonietta Raphaël), dal lavoro di scavo nel reale di Fausto Pirandello, Renato Guttuso e Alberto Ziveri alle correnti tonaliste degli artisti del gruppo dei “Sei di Torino” (Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio) e del “Chiarismo lombardo” (Angelo Del Bon, Francesco De Rocchi, Umberto Lilloni), sino alle forze innovatrici dei pittori e scultori di “Corrente” (Ernesto Treccani, Renato Birolli, Aligi Sassu, Arnaldo Badodi, Luigi Broggini, Giuseppe Migneco, Italo Valenti, Bruno Cassinari, Ennio Morlotti).
A chiudere la mostra “l’atmosfera irrespirabile” de Il Caffeuccio di Emilio Vedova che, travolto da una rabbia che sarebbe presto sfociata nella partecipazione alla Resistenza, segna un punto di non ritorno. Il quadro, esposto all’ultimo Premio Bergamo, è sembrato ai giovani del gruppo di “Corrente” un vero e proprio detonatore anticlassico: non si poteva costruire, in piena guerra, una pittura nuova, “moderna”, se non negando lo stile in voga nei vent’anni precedenti. In quei quadri, a volte disprezzati dalla cultura artistica dominante, era riposta una risorsa importante: insegnavano a guardare la realtà con uno sguardo rinnovato dagli aspetti più intriganti dell’umanità, della poesia e del colore.
La raccolta di Giuseppe Iannaccone è lo specchio dell’animo umano, dei sentimenti di un’Italia in pieno fermento, di un’epoca in cui la voglia di ricostruire il Paese incrociava la sofferenza per le violenze del regime e delle guerre. Un’originale e importante testimonianza di una stagione creativa, complessa e vitale dell’arte italiana del Novecento.
La mostra è promossa da Fondazione La Triennale di Milano e Giuseppe Iannaccone e fa parte del programma del Settore Arti Visive della Triennale diretto da Edoardo Bonaspetti.