È dedicata a Mario Nigro (1917 – 1992), in occasione del primo centenario della nascita del pittore, la mostra che dal 29 settembre 2017 al 7 gennaio 2018 è aperta al pubblico alla Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca.
L’esposizione, dal titolo “Mario Nigro. Gli spazi del colore“, è curata da Paolo Bolpagni e da Francesca Pola, ed è realizzata in collaborazione con l’Archivio Mario Nigro.
Con oltre settanta opere esposte, l’obiettivo della mostra è di ripercorrere l’intera carriera dell’artista toscano attraverso i suoi assoluti capolavori e i principali momenti di svolta, presentati in dialogo con opere di autori del contesto internazionale quali Max Bill, François Morellet, Heinz Mack, Sol LeWitt, Roman Opalka, Fred Sandback e Niele Toroni.
L’esposizione si apre con le prime esplorazioni e sperimentazioni astrattiste, rappresentate da un singolare nucleo di opere su carta, realizzate tra il 1948 e il 1950 e ispirate chiaramente a Kandinskij e a Mondrian.
Si passa poi ai celebri “spazi totali”, dipinti tra il 1952-1953 e la seconda metà degli anni Sessanta, che definiscono l’inconfondibile “marchio” di Mario Nigro, riconoscibile per le caratteristiche textures, fatte di reticoli, griglie e fughe prospettiche movimentate da piani di colore di diversa intensità cromatica. In mostra ci sono anche i “collage vibratili”, ciclo esposto alla Biennale di Venezia del 1964, ma anche i primi lavori tridimensionali “componibili” (“spazi totali” assemblati in progressione e variazioni per così dire musicali) e poi i veri interventi ambientali, come le 4 colonne prismatiche del 1966 e la Passeggiata ritmica del 1967-1968.
Troviamo dunque l’evoluzione concettuale dell’opera di Nigro, dallo “spazio totale” al “tempo totale”, dalle opere a carattere installativo e ambientale, presentate alla Biennale di Venezia del 1968, alla “metafisica del colore”, come lui stesso la definisce negli anni Settanta, sino ai lavori in cui operò una progressiva sottrazione dell’elemento cromatico per giungere al ciclo dei “terremoti”, del 1980, suscitato dal sisma in Irpinia e ispirato alla Tempesta di Giorgione. È un nuovo Mario Nigro, che attribuisce alle sue opere indifferentemente titoli descrittivo-formali, oppure di carattere politico, personale, psicologico, sentimentale, emozionale, mitico-archetipo, musicale e persino naturalistico.
Non mancano i riferimenti alla Toscana, amata terra natale, con L’orma dell’etrusco (1980), mentre in Rivoluzione (1981) gli equilibri compositivi e cromatici sono sconvolti in linee spezzate che corrono da una parte all’altra della tela, a simboleggiare il fluire della storia.
Dagli anni Ottanta in poi si assiste a un nuovo passaggio nella pittura di Nigro, che diventa più introspettiva. Nel ciclo degli “orizzonti” la linea spezzata si trasforma in una sequenza di punti, ognuno di diverso colore: è il periodo che l’artista chiama “della solitudine”. Sono opere che rappresentano una sorta di principio generatore della sua ultima produzione, dal 1987 al 1989, dove riprende prepotentemente campo il colore, con cromie vigorose e stesure gestuali, spesso accostate a certi esiti del Neoespressionismo. Ne sono testimonianza emblematica, in questa sede, alcuni dei “ritratti” e dei “dipinti satanici”, nati, quest’ultimi, come moto di ribellione contro l’oscurantismo fanatico di cui era frutto la fatwa di Khomeyni contro Salman Rushdie e il suo romanzo Versetti satanici.
La mostra si chiude con gli ultimi due cicli della produzione di Mario Nigro: sia nelle “meditazioni” sia nelle “strutture” tornano una maggiore pacatezza e una riflessione sul colore che assume caratteri di rarefazione e sospensione. Sono gli inizi degli anni Novanta; l’artista morirà nell’estate del 1992.
Nell’ultima sala, alcuni studi a pastello o carboncino su carta ci presentano un approfondimento del ciclo dello “spazio totale” degli anni Cinquanta, a testimoniare ancora una volta la centralità del colore nell’itinerario creativo di Mario Nigro.