È un’opera per troppi versi irrisolta. Ispirata a un libro di ricordi della Wiazemsky, la pellicola si propone come la cronaca di un disamore e, almeno a tratti, sembra voler adottare il punto di vista di Anne, una giovane donna che scopre a poco a poco che l’uomo di cui è perdutamente innamorata, Jean-Luc Godard, il genio osannato del nuovo cinema francese, non è altro che un individuo egoista, meschino, arrogante, geloso, supponente, pieno di sé, persino spregevole (l’abietto antisemitismo che esibisce in una riunione studentesca). L’emancipazione di Anne, il suo sottrarsi a una passione e a una venerazione infauste, conserva qualcosa di faticoso, di impacciato, e rischia di far passare la protagonista femminile per una stupidotta (cosa che Anne Wiazemsky non era sicuramente).
Il film peraltro non appare capace di fornire un ritratto convincente del personaggio e dell’artista Godard. E questo non già perché abbia osato scalfire il monumento del celebrato maestro (i godardiani della vecchia guardia si sono detti offesi dal gesto sacrilego e hanno accusato Michel Hazanavicius di lesa maestà), ma perché, al contrario, la demolizione del mito non è stata condotta con la necessaria impertinenza. Louis Garrel, attraverso una recitazione farsesca, caricaturale, si affanna come meglio può a restituire umanità al suo personaggio. La regia si appropria qua e là delle invenzioni e degli stilemi linguistici della scrittura di Godard riproponendoli nelle forme dell’omaggio reverente e affettuoso. Il tono che prevale nel film è un tono burlesco, scanzonato, sottilmente umoristico (ma i momenti comici hanno un respiro corto). Tant’è: quello che viene consegnato allo spettatore è un ritratto sfocato, scialbo, privo di vita.
E dire che l’argomento su cui si misura la pellicola era di sicuro interesse. L’arco temporale scelto da Hazanavicius – gli anni che vanno da La cinese, 1967, a Vento dell’est, 1969 – è di rilevanza fondamentale per intendere l’uomo Godard e il suo cinema. Sono gli anni in cui l’avventura sperimentale e modernista del decennio precedente – una stagione di grande creatività artistica che aveva dato un nuovo respiro di libertà e ardimento alla settima arte – viene liquidata dalle farneticazioni maoiste e gauchiste del Maggio francese, come arte borghese. Godard sceglie dissennatamente di cavalcare l’onda del Sessantotto e, fagocitato dalle istanze rivoluzionarie imperanti (l’ascolto reverente che riserva ai risibili sproloqui di Jean-Pierre Gorin), arriva a rimettere totalmente in discussione il proprio passato artistico sino a rinnegarlo. Un’epoca si chiudeva, se ne apriva un’altra. Sulla cui insensatezza e inconsistenza (l’eperienza patetica del cinema collettivo del gruppo Dziga Vertov) nessuno oggi sembra più nutrire dei dubbi.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: Il mio Godard
Regia: Michel Hazanavicius
Cast: Louis Garrel, Stacy Martin, Bérénice Bejo, Micha Lescot, Grégory Gadebois
Durata: 102 minuti
Genere: Commedia
Distribuzione: Cinema
Data di uscita: 31 ottobre 2017
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