Molti di noi legano opere d’arte a momenti particolari della propria vita, a luoghi visitati, a sensazioni vissute. Scriveremo, pertanto, di pittura e di vita, raccontando di volta in volta un quadro che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte e forse nell’immaginario di ogni lettore.
Il navigatore lo avevamo dimenticato; internet non “prendeva” così bene su quei primi smartphone; proseguendo su quella strada in mezzo ai boschi, oltre le due di notte, da qualche parte saremmo arrivati: le strade portano sempre in un luogo, ad un paese, ad una stazione di servizio dove prendere un caffè.
Notte stellata sulle montagne tra Lazio e Umbria. Quel manto stellato pareva toccare la terra e venirci incontro, dopo un tornante alla fine di una salita.
Ci sono molte notti, tante quanti gli stati d’animo. Le notti fascinose in riva al mare sempre accompagnate dal via vai di stelle cadenti, le notti balorde in compagnia di amici per i vicoli di Roma, le notti romantiche e quelle tristi, dove l’oscurità pesa, colpisce in faccia, proviene da bui più profondi, direttamente dagli anfratti dell’inconscio.
Ci sono notti e notti e quella notte in macchina, con una meta perduta ed una strada da scoprire, ci conduceva sulla riva di un lago illuminato dalle luci di un piccolo borgo e dal riflesso dell’Orsa Maggiore. Faceva freddo, ma siamo scesi lo stesso, lo abbiamo fotografato, siamo rimasti emozionati dal “ritrovamento”, come se fossimo giunti davanti ad un reperto perduto. Eravamo lì e non sapevamo dove, ma assistevamo al meraviglioso spettacolo della natura, mentre il freddo pungeva meno, anche lui smetteva di fare il suo mestiere per fermarsi a guardare il lago con le stelle riflesse. Pensai a Van Ghog e alla sua Notte stellata sul Rodano. Quello era il mio Rodano, anche se non era un fiume, in una notte tanto reale quanto simbolica, immaginaria e contemplativa.
Non so se quella sul Rodano abbia avuto in Vincent Van Gogh un effetto analogo. Mi piace la descrizione che ne dà lo stesso artista olandese: “La notte stellata è dipinta in notturna, sotto un getto di gas. Il cielo è color acqua marina, il fiume blu-reale, la città blu e viola, i riflessi color oro scalando verso il verde-bronzo. Sul fiume l’Orsa Maggiore è riflessa con un verde scintillante e rosa, il cui pallore contrasta con l’oro vivo del gas: due figure d’amanti piene di colori sono in primo piano”. Sembra che abbia già visto il suo quadro prima della scena, come se i suoi occhi visualizzassero i colori da utilizzare e la sua mano si preparasse a dosare la forza della pennellata. Dipinta en plen air (dal vivo) essa è tanto reale quanto visione, un vortice di emozioni che ha lo spessore del colore usato in modo tale da non lasciare fiato allo spettatore.
Il dipinto è del 1888 realizzato nella cittadina francese di Arles sulle rive del fiume Rodano. L’artista soggiornava insieme all’amico Paul Gauguin in una “casa gialla” presa in locazione con lo scopo di farne un centro artistico ed un luogo di confronto ed ispirazione. Vincent, da sempre innamorato della notte, scrisse le sue sensazioni: “… guardare le stelle mi fa sempre sognare, così come lo fanno i puntini neri che rappresentano le città e i villaggi su una cartina. Perché, mi chiedo, i puntini luminosi del cielo non possono essere accessibili come quelli sulla cartina della Francia?”
Occorre entrare nella notte per vedere le stelle ed i loro riflessi, occorre muoversi nella forza prodigiosa del blu di Vincent per lasciarsi catturare dal potere ipnotico, coinvolgente del giallo astrale che emerge tra i grumi di pittura. Nessun artista domina il tono del giallo come lui, nessun artista sa calamitare lo sguardo prima e l’anima attraverso quel colore. Tutta la scena trasuda di atmosfera e umidità, un effetto ottenuto attraverso un lavoro su più strati di colori, sovrapposti l’uno sull’altro quando ancora non sono asciugati; come un musicista jazz che improvvisa con la stessa frase melodica, Vincent, anziché pigiare i tasti di un pianoforte, sfrutta tutte le intensità e le variazioni tonali, in questo caso, il blu del cielo che prenderà vita sulla tela.
In questo senso Van Gogh va oltre l’Impressionismo, non solo per una predilezione a marcare le linee ed i contorni del disegno rispetto alla maniera impressionista, ma soprattutto per l’utilizzo di variazioni tonali di colore così intense da risultare in molti casi anti-naturaliste.
Vincent trasferisce il suo sentire nelle opere, lascia che le sue emozioni, turbamenti, passioni si accordino con il colore, diventino “pigmento” per la composizione. Per questa via Vittorio Sgarbi lo ha definito come “l’ultimo degli impressionisti ed il primo degli espressionisti”, per sottolineare tanto il contributo che deve al movimento impressionista, tanto il suo superamento verso poetiche artistiche di altro tipo, assolutamente originali e più vicine al mondo espressionista.
Rientriamo in auto, più tardi scopriremo che il luogo in cui ci siamo imbattuti si chiama Piediluco (Terni) e la descrizione del viaggio farà parte di un articolo uscito su Bit Culturali.
Diego Pirozzolo