Nel corso degli anni Settanta in Francia si affaccia alla ribalta una nuova generazione di cineasti. Emergono i nomi di Téchiné, Doillon, Ackerman, Jacquot: autori tutti ancor giovanissimi e accomunati dal rifiuto altero del “naturalismo alla francese” di Sautet e Thomas. Questi ultimi, che la rivista “Positif” salutava già come i legittimi eredi della gloriosa “tradizione di qualità”, miravano a farsi sguardo partecipe, rassicurante e veritiero del contemporaneo, e a celebrare i fasti minuti della buona borghesia transalpina di quegli anni, colta nei suoi trasalimenti e umanissimi tormenti professionali, sentimentali, esistenziali, dove accanto al pulsare febbrile e generoso della vita, si poteva cogliere un amaro disincanto, il senso del finire delle cose.
A quel cinema – un cinema tutto solida fattura classica, attenzione alle qualità tradizionali del racconto per immagini, sceneggiature rigorosamente elaborate, dialoghi di sapiente precisione, semplicità e freschezza di messa in scena, valorizzazione del contributo di attori di riconosciuto spessore -, che seppe accaparrarsi il plauso delle grandi platee, ma a cui buona parte della critica riservava un’attenzione distratta, accidiosa e accigliata, il giovane Téchiné e gli altri opponevano, come cifra stilistica, l’astrazione, la stilizzazione, il gioco contro il realismo, l’artificio esibito in quanto tale, il barocchismo, la teatralità, il romanzesco. Ciascuno di quei cineasti aveva stabilito di impostare la propria produzione su percorsi di ricerca di natura dichiaratamente anticlassicista, modernista, sperimentale. Gli stessi autori, in seguito, avrebbero operato, saggiamente, una serie di salutari correzioni di rotta…
Nel 1981 Benoit Jacquot decide di trasferire sullo schermo Le ali della colomba di Henry James e di collocarne la vicenda in epoca contemporanea. Il romanzo dello scrittore americano offre il destro al regista di riappropriarsi di alcuni stereotipi del mélo – la storia narra di un amore impossibile, consumato in una Venezia di maniera, tra inquietanti bellezze ferine, fanciulle cortesi, logorate da mali oscuri, avventurieri ingenui, macchinazioni abiette, inganni, separazioni, agnizioni fatali – per riscattarli attraverso una scrittura gelida, cerebrale, antinaturalistica, che sembra a tratti fare il verso a quella di Henry James. Il ricorso a situazioni e atteggiamenti non verosimili; le inquadrature fredde, distanziate; l’antipsicologismo imperante; i dialoghi ambiziosamente letterari, vengono a definire l’instabilità e l’ambiguità fisiologica dei rapporti tra i tre personaggi principali. La maiuscola prestazione di Isabelle Huppert, perfetta qui nel ruolo della vittima sacrificale, è sicuramente la cosa migliore del film.
Nicola Rossello
Scheda film
Titolo: Storia di donne
Regia: Benoit Jacquot
Cast: Isabelle Huppert, Dominique Sanda, Michele Placido, Jean Sorel
Durata: 95 minuti
Genere: Drammatico
Data di uscita: Francia 1981