Propone una riflessione sul tema della velocità che caratterizza l’attuale società globale la mostra che dal 4 ottobre 2018 al 13 gennaio 2019 resterà aperta al pubblico al MAST di Bologna.
L’esposizione, dal titolo “Pendulum – Merci e persone in movimento. Immagini dalla collezione di Fondazione MAST” , presenta una selezione di fotografie e immagini in movimento sul tema Industria e Lavoro.
Oltre 250 immagini storiche e contemporanee di 65 artisti di tutto il mondo mostrano la genialità e l’energia che negli ultimi due secoli hanno spinto gli uomini a progettare mezzi e infrastrutture per muovere merci, persone e dati.
Il pendolo simboleggia questo moto perenne del mondo e dei suoi abitanti nello spazio e nel tempo. Il suo oscillare è sinonimo di cambiamenti improvvisi d’opinione, di convinzioni che si ribaltano nel loro esatto contrario. Inoltre, la sua immagine evoca il traffico pendolare, i milioni di persone che la mattina presto per lavoro raggiungono il centro delle città e la sera tornano stanche ai loro quartieri dormitorio. Ma il pendolo è anche un simbolo valido per i traffici in genere, per quel perenne scambio di merci a fronte di altre merci, di denaro, di promesse.
A questo dinamismo incessante si contrappone un fenomeno di segno opposto come spiega la curatrice Urs Stahel: «Da decenni si continua ad aumentare il ritmo e la velocità: la crescente accelerazione dei processi economici e sociali è iniziata ai primordi della rivoluzione industriale fino a toccare oggi livelli vertiginosi. Il solo fenomeno che ci spinge a rallentare il passo, a cercare persino di fermare tutto, è quello delle migrazioni. Le uniche barriere esistenti sono quelle che frenano i perdenti locali e globali della modernità».
Psychomotor di Rémy Markowitsch, le fotografie che Robert Doisneau ha dedicato agli stabilimenti Renault e il Paint Shop della BMW ritratto da Edgar Martins, le auto da corsa di Ugo Mulas e il monumentale trittico in onore del feticcio-automobile di Luciano Rigolini impattano contro le complesse installazioni di Ulrich Gebert e Xavier Ribas sul tema della migrazione e del nomadismo allestite sulle pareti della PhotoGallery.
I container di Sonja Braas, l’epopea dei truckers di Annica Karlsson Rixon, la serie di Yto Barrada sui manovali narrano con immagini forti e suggestive il trasporto di merci e il trasferimento di persone costrette a muoversi per lavoro. Nei suoi intensi ritratti quasi in bianco e nero, Helen Levitt fotografa i pendolari nelle metropolitane degli anni settanta e ottanta, ne indaga gli stati d’animo, gli umori, mentre David Goldblatt, con le sue immagini scure, cupe, documenta la fatica di affrontare quattro ore di viaggio in autobus per recarsi al lavoro e lo sforzo ancora maggiore necessario a percorrere il tragitto inverso dopo un turno di dieci ore. Nella sua video installazione Jacqueline Hassink ritrae i pendolari moderni in sette città del nostro mondo globalizzato e mostra come ognuno di loro si muova i due modi: prima di tutto verso la propria destinazione, il posto di lavoro, e contemporaneamente in un perenne viaggio virtuale con il telefono cellulare o il tablet su cui tutti, senza eccezione, tengono gli occhi puntati.
Richard Mosse associa il commercio globale alle migrazioni: nell’opera lunga sette metri dal titolo Skaramaghas centinaia di container occupano un’area portuale. Lungo il margine sinistro dell’immagine la sua termocamera fotografa il trasporto di merci lungo le rotte mondiali, mentre sulla destra, gli stessi container sono impiegati come abitazioni per i migranti. Individui rimasti bloccati, persone che non possono andare avanti né tornare indietro e che temono il momento in cui sapranno se hanno ottenuto il permesso di proseguire il viaggio o se invece verranno reimbarcate verso il paese d’origine. Un’unica immagine che condensa tutto il sistema.