Il MAGA di Gallarate (VA) ospita, dal 24 marzo al 15 settembre 2019, la personale di Stefano Cagol (Trento, 1969), dal titolo “Iperoggetto. Visioni tra confini, energia ed ecologia“.
L’esposizione, curata da Alessandro Castiglioni, presenta videoinstallazioni, opere fotografiche e scultoree, che documentano i grandi interventi ambientali che l’artista trentino ha realizzato a partire dal 2007, e che ruotano attorno a tematiche quali l’attenzione all’ambiente, il cambio climatico, le sorgenti energetiche e il mutamento dei confini.
Il titolo Iperoggetto fa riferimento alla teoria del filosofo inglese Timothy Morton, secondo cui “gli Iperoggetti sono entità diffusamente distribuite nello spazio e nel tempo che ci obbligano a riconsiderare le idee fondamentali che ci siamo fatti su ciò che significa esistere, su cos’è la Terra, su cos’è la società”.
Il percorso espositivo prende avvio all’esterno, nella piazza anfiteatro del MAGA, dove sono installati dei caratteri cubitali che compongono la scritta FLU POWER FLU (Influenza, potere, influenza), che dà anche il titolo dell’opera, realizzata nel 2007 nel pieno della diffusione dell’influenza aviaria. Queste parole ricordano che la smania di dominio affligge i rapporti dell’uomo con il mondo, tanto da assurgere a causa di tutti i mali.
La rassegna prosegue quindi con The Body of Energy, un progetto di ricerca ancora in corso dedicato alla mappatura dell’utilizzo, della trasformazione e della visualizzazione dell’uso e dello spreco di energia, attraverso riprese video condotte con una telecamera a infrarossi che visualizza il calore del corpo umano come manifestazione di energia. L’artista ha attraversato l’Europa, dal Polo Nord a Gibilterra, dalla Germania alla Sicilia, costruendo un enorme archivio di materiali fotografici e video che di volta in volta vengono riconfigurati e ampliati a seconda dei contesti espositivi in cui il progetto viene presentato.
L’altro fronte attorno cui ruota la ricerca di Stefano Cagol, analizza i diretti esiti del cambiamento climatico. In particolare l’immagine costante a cui il lavoro di Cagol fa riferimento è la sparizione dei ghiacci o sono elementi del paesaggio che preludono a un accadimento che sembra non arrivare, ma che in realtà è già direttamente sotto i nostri occhi.
S’inserisce in questo ambito, l’opera Evoke Provoke (the border) che ricorda la spedizione solitaria che l’artista ha effettuato oltre il Circolo Polare nel 2011, durante il quale incendiava il gas di bombolette spray, evocando l’influenza dell’uomo nella sparizione dei ghiacci eterni, lanciando segnali di aiuto da lande deserte.
La terza tematica è quella dei confini che per l’autore rappresentano un fatto sia fisico che mentale. Il superamento è il viaggio fisico, da un lato, fatto di corpi e, dall’altro, tracciato nel vuoto dall’immaterialità di un raggio luminoso, come avviene sul confine polare tra Norvegia e Russia, nel caso dell’opera The End of the Border (of the mind) del 2013. Il confine non si declina dunque esclusivamente nella sua dimensione fisica e politica, ma assume una dimensione più dematerializzata che tocca informazione, conoscenza e percezione.
“Le opere di Cagol – sottolinea il curatore – non si esauriscono nella propria natura fisica ma interagiscano a fasi, proprio come un iperoggetto, generando e ricostruendo lo spaziotempo”. Ne è esempio il video della lenta e inesorabile fusione del blocco di ghiaccio che Stefano Cagol ha installato alla Biennale di Venezia del 2013, all’interno del Padiglione Nazionale delle Maldive. Il tempo di fusione di The Ice Monolith supera quello di visione dello spettatore, il quale può coglierne solo alcuni frammenti e istanti, visto che il video viene mostrato in una versione accelerata della ripresa originale di 72 ore.