“Paola Pivi. World record” è la mostra monografica che il MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, dedica all’artista milanese, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1999.
L’esposizione, a cura di Hou Hanru e Anne Palopoli, è aperta al pubblico dal 3 aprile all’8 settembre 2019, nella scenografica Galleria 5 del museo.
La mostra è il racconto dell’immaginario di un’artista che, attraverso le sue opere, dà vita a una nuova forma di realtà, ironica ed esagerata, fatta di grandi contrasti, di gesti stravolgenti, di oggetti presi dal quotidiano che acquistano una nuova inedita veste, mostrando altre possibili interpretazioni di senso.
Le opere accattivanti di Pivi cambiano lo spirito del luogo che le ospita e attivano i sensi del visitatore, sovvertendo i confini classici tra spazio pubblico e intimità.
La visita in mostra inizia sotto una vasta griglia di centinaia di forme morbide intrecciate e sospese a mezz’aria: Share, but it’s not fair (2012), opera composta da cuscini gialli e rossi, realizzati con i tessuti degli abiti dei monaci tibetani, forma una grafica astratta ma allo stesso tempo tridimensionale.
«Il titolo (Condividi, ma non è giusto) è come il lamento di un bambino a cui è stato imposto di condividere un gelato pur non avendo voglia di farlo – dice l’artista –. Camminare sotto la grande distesa di cuscini è incantevole, è come esplorare un mondo magico».
Il percorso si snoda poi attraverso opere della fine degli anni Novanta: la serie di divani in miniatura fedelmente riprodotti in scala e grondanti profumo. L’essenza, che cade sul pavimento, pervade l’aria e la sfera olfattiva. Dall’opera Did you know I’m single? (2010), una pelle di orso che ricorda i trofei di caccia ma è realizzata in pelliccia sintetica, si arriva alla gigantesca World record, l’ultima installazione ideata dall’artista, che dà il titolo alla mostra e occupa circa un terzo della galleria. Più di cento materassi disposti su due livelli creano uno spazio stretto in cui il visitatore è invitato a entrare, a distendersi e ad abbandonarsi ai suoni ovattati e alla prospettiva inedita. Lo spazio non è sufficiente per stare in piedi, costringe a sdraiarsi, a rotolare o gattonare: compiere questi gesti di regressione, gioco e abbandono, o anche solo osservare gli altri visitatori mentre interagiscono con l’opera, crea coinvolgimento e connessioni inaspettate fra le persone. Il divertimento, come Pivi ha più volte ribadito, è una delle tante chiavi di accesso possibili alla sua arte.
Quasi a chiudere un simbolico cortocircuito temporale, è esposta anche una delle primissime opere create dall’artista: Scatola umana (1994), una scultura cubica di plexiglass di soli dieci centimetri per lato che, a una rilettura successiva, sembra contenere tutta la creatività dell’artista, liberata poi al massimo della sua potenza espressiva attraverso una moltitudine di forme, grandezze e mezzi possibili.
Il MAXXI ospita dal febbraio 2018 la sua monumentale installazione Senza titolo (aereo) (1999) che le valse il Leone d’oro alla Biennale di Venezia a soli 28 anni: un esemplare di aereo Fiat G–91 che sfida le leggi della fisica con il suo perfetto e incredibile equilibrio, sospeso nel tempo e quasi magicamente posato sottosopra sulla piazza del Museo.
Le opere di Paola Pivi sono autentiche esperienze di meraviglia, vere e proprie imprese che plasmano e personalizzano il contesto che le circonda trasformandolo in un momento artistico puro, fantasioso e inaspettato, che generano e affermano realtà nuove e impossibili. Paola Pivi crea la sua personale forma di realtà, “realtà, non realismo” tende a precisare l’artista, la quale rivendica la prerogativa di giocare con il mondo e permette che la sua arte sia vissuta per quello che è, senza racconti o rimandi, come un qualsiasi frammento di quotidianità.
«Credo fermamente che tutti gli esseri umani siano uguali, e odio la separazione delle culture – afferma Paola Pivi -. Il fatto che alcune conoscenze diventino incomprensibili per qualcuno non mi piace. Il fatto che la mia arte sia comprensibile da chiunque non è pianificato. Penso sia semplice: faccio la mia arte e le persone sono libere di guardarla o non guardarla; di capire o non capire; di apprezzarla o di non farsela piacere; di pensare che sia arte o che non lo sia. Non è qualcosa che pianifico. Viene fuori così, ma questo è un valore aggiunto».