Cineasta prolifico e versatile, François Ozon ha modificato a più riprese nel corso della sua carriera il proprio profilo d’autore. Accantonato il rovinoso arruffamento stilistico delle prime prove (l’estetica della trasgressione e dell’insolenza messa in atto in Sitcom. La famiglia è simpatica e in Amanti criminali), la sua successiva filmografia si è applicata, talora all’interno della stessa pellicola, su una pluralità di registri e di generi (il dramma familiare, la commedia rosa, il fantastico, il thriller, il musical…) e ha acquisito ben presto la pienezza formale del cinema d’autore popolare – un cinema che non si è mai privato peraltro del gusto vistoso del romanzesco e dell’artificio. Con Grazie a Dio il Nostro rinuncia consapevolmente a talune componenti intellettualistiche ancora rintracciabili in una pellicola come Doppio amore, e opera un nuovo e significativo aggiustamento di rotta.
Assumendo le vesti del cineasta engagé, interessato alle tematiche sociali d’attualità, Ozon ha ricostruito qui un recente fatto di cronaca vera: il caso Preynat e Barbarin, in cui sono rimasti coinvolti un anziano prete accusato di reiterati stupri su minorenni e il vescovo di Lione, lui pure chiamato in giudizio per aver coperto i misfatti del suo sottoposto.
Il film presenta una struttura tripartita. La vicenda è raccontata assumendo il punto di vista di tre personaggi maschili, tutti vittime del sacerdote pedofilo, che si danno il cambio l’uno con l’altro, come in una staffetta, conferendo alla storia una proiezione poliedrica e cangiante. A ciascuno dei tre movimenti corrisponde una variazione di registro stilistico, un cambio di passo. I mutamenti di ritmo rispondono a una precisa progressione drammatica. Si parte dai toni sommessi della cronaca intimista, dove il frequente ricorso alla voce fuoricampo e l’eloquio austero esibito nella corrispondenza tra Alexandre e la diocesi rimandano a certo cinema letterario d’antan. Si passa poi agli accenti gridati e ai ritmi nervosi, quasi da thriller, con cui François dà libero sfogo alla sua collera. Si conclude con i toni straziati che traducono, in chiave mélo, la grande sofferenza in cui è precipitata la vita di Emmanuel.
Grazie a Dio non è un film giudiziario alla Cayatte (né, va detto, un furioso libello anticlericale). Ozon appare assai meno interessato a fornire una ricostruzione accurata del dato di cronaca (il processo, peraltro, è tuttora in corso) che non a comporre il ritratto umano di alcune anime ferite, tre uomini di diversa estrazione sociale e culturale che, vittime di abusi sessuali durante l’infanzia, sono ora chiamati a intraprendere un laborioso percorso di elaborazione del trauma e di ricostruzione interiore. Alexandre, François ed Emmanuel sono stati segnati dalla violenza patita da bambini: un’esperienza atroce, che ha inciso in particolare sul più vulnerabile del gruppo, Emmanuel, rendendolo un individuo insicuro, confuso, incapace di governare la propria afflizione. A decenni di distanza da quei fatti il ricordo dell’abuso torna a visitare le loro esistenze (si viene a sapere che padre Preynat continua a occuparsi dei bambini della diocesi). Superate esitazioni e titubanze iniziali, Alexandre e gli altri saranno indotti a riesumare i fantasmi dolorosi del passato e a denunciare pubblicamente il loro aguzzino, infrangendo la congiura del silenzio messa in atto dalle gerarchie della Chiesa. La scelta di dare voce a un bisogno imperioso di verità e giustizia consentirà a ciascuno di essi di lenire le cicatrici della memoria e giungere a una pacificazione interiore.
Ozon ha concepito la pellicola come uno studio sulla fragilità maschile. L’attenzione del regista si è focalizzata sul lato creaturale dei suoi personaggi, tutti individui lacerati, squassati, che a distanza di anni vivono ancora, sia pure in modi differenti, le conseguenze del trauma. Alexandre, cattolico praticante e di estrazione altoborghese, conosce il disorientamento doloroso di chi registra la frattura insanabile tra la propria ansia di giustizia e il silenzio omertoso delle autorità ecclesiastiche. François ha perso la fede ed è diventato un individuo astioso, divorato dal risentimento verso la Chiesa. Emmanuel, soggetto a crisi di epilessia, senza un lavoro e con una compagna fragile e insicura, vive l’angoscia dello smarrimento di sé, la perdita del proprio equilibrio interiore.
Nello sguardo che Ozon getta su queste figure si colgono la vicinanza emotiva e la compassione. Il lavoro di messa in scena allora, pur riproponendo la maniera ferma di sviluppare il racconto propria dell’autore, presenta, rispetto al passato, uno stile più sobrio e misurato, più composto. Ozon accantona qui l’eloquenza cinefila e le accensioni cromatiche del suo cinema ancora recente, e si affida a una scrittura all’insegna del ritegno, priva di virtuosismi e forzature: una scrittura pudica, ellittica, che sceglie di non descrivere gli atti sessuali. Solo alcuni brevi inserti giungono a rievocare l’atmosfera torbida in cui si consumarono gli abusi. Sono brani che danno modo allo spettatore di respirare da presso l’orrore indicibile di quelle situazioni.
Nicola Rossello
Grazie a Dio – Scheda film
Titolo: Grazie a Dio
Regia: François Ozon
Cast: Melvil Poupaud, Denis Ménochet, Swann Arlaud, Eric Caravaca, François Marthouret, Bernard Verley, Martine Erhel, Josiane Balasko, Hélène Vincent, François Chattot
Durata: 137 minuti
Genere: Drammatico
Distribuzione: Academy Two
Data di uscita: 17 ottobre 2019