Un personaggio toccante, e però capace di comunicare allo spettatore un disagio doloroso, quello che ci viene proposto in questa pellicola di Guillaume Brac.
Sylvain è un trentenne tremendamente impacciato nel suo relazionarsi con l’universo femminile, da cui lo dividono una paralizzante timidezza e la mancanza di esperienza; una creatura sperduta in un ambiente che pure è il suo, che gli appartiene, ma che lo condanna nondimeno a una condizione di solitudine devastante. Intorno a questo ragazzone dai modi goffi e gentili, col suo faccione pulito, la corporatura massiccia, il ciuffo dei capelli sempre in disordine e le magliette dai colori sgargianti, due villeggianti: Patricia e Juliette: una madre ancor giovane e piacente, ben decisa a trascorrere in allegria i suoi giorni di vacanza al mare; una figlia – poco più che un’adolescente – introversa e schiva, che sembra vivere con fastidio l’esuberanza della genitrice.
Sylvan avrà modo di familiarizzare con le due forestiere e di invaghirsi incautamente di Patricia, che però alle maldestre attenzioni del giovanotto (struggente la scena in cui Sylvan, nel corso di una passeggiata, arriva a stringere affettuosamente la mano della donna, ma poi, di fronte all’imbarazzo di lei, si mostra incapace di dire e di fare alcunché) preferirà le avances di un più smaliziato gendarme del luogo.
L’abbattimento con cui Sylvain reagirà al rifiuto delle sue richieste di affetto farà nascere nei suoi confronti un moto di istintiva simpatia in Juliette, l’unica in grado di comprendere come la goffaggine dell’uomo sia un riflesso della sua rassegnata disperazione.
Dunque: il film ci propone un trio, che diventa assai presto un quartetto, dove il formarsi e il disfarsi delle coppie, nel gioco cangiante delle attrazioni e delle ripulse, è governato dal principio delle affinità e delle opposizioni caratteriali: da un lato avremo allora due personaggi esuberanti, disinvolti, intraprendenti (Patricia e il gendarme), la cui relazione si svilupperà lungo i binari consueti dell’avventura estiva; dall’altro due figure più riservate e introverse (Sylvain e Juliette), a cui sarà concesso un momento breve di tenero abbandono.
Un racconto di esile respiro, a cui corrisponde un formato decisamente inusuale (il film dura 58 minuti, ma in realtà esso costituisce la seconda anta di un dittico che, nelle intenzioni di Brac, avrebbe dovuto marciare compatto). Una storia minima, confinata in uno scenario naturale circoscritto: la località balneare di Ault, sulla costa piccarda, colta sul finire della stagione estiva.
Il tutto narrato ricorrendo a una scrittura cristallina, priva di artifizi, di esemplare freschezza e naturalezza, capace di tenersi in equilibrio tra umorismo giocoso e mestizia sottile: una scrittura che deve senza dubbio qualcosa alla lezione di Rohmer (analoga è l’intonazione lucida e concisa dello stile) e attenta a trarre il massimo vantaggio dalla prestazione degli attori (un Vincent Macaigne strepitoso per intensità contenuta; ma anche la prova delle interpreti femminili è di tutto rilievo).
Nicola Rossello