L’atelier dell’artista Davide Stasino è in cima ad un palazzo romano con una grande terrazza che domina la ferrovia.
«Ti verso il vino?», mi chiede mentre stappa una bottiglia di rosso ben strutturato, con sentori di fichi secchi e retrogusto al cioccolato.
Sistema sul cavalletto un ritratto delle sue donne: seducenti e meravigliose, anche senza poterne scorgere il viso.
Già, perché le donne di Stasino hanno il volto coperto, soppiantato dalla vernice, non sai chi sono, ma le intuisci, ne cogli il mistero: quel certain je ne sai quoi che le rende uniche e affascinanti.
«A cosa pensi?», si rivolge a me quando vede i miei occhi indugiare sui ritratti. I fari rossi della stazione Tiburtina illuminano il terrazzo, fendendo l’oscurità e tingendo le ombre di metallici riflessi porpora.
«Che da queste parti ci sono già stato anni fa», rispondo, «in un palazzo non molto distante. Era una notte come questa, nuvolosa e senza stelle. Una di quelle notti che cambiano i destini, o li lasciano così come sono. Anche da lì si vedeva la stazione e c’era un volto, che alla luce dei fari sfumava e perdeva i contorni. È lei la donna del tuo quadro, oggi resta solo il suo profumo, un odore che si diffonde e lo ritrovo nel tuo ritratto».
Davide sorride. Insieme osserviamo la tela ed i colori che spaziano su diverse scale di grigio sconfinando nel bianco. Il volto non si vede, la pittura sembra volare via, come trascinata da un vento, da una forza sconosciuta. I grumi di vernice provano a resistere, si attorcigliano, quasi combattono, ma non c’è nulla da fare: il viso sfuma, si perde nel grigio dello sfondo.
Appena sopra l’orecchio due cerchi di colore rosso catturano lo sguardo, lo bloccano. Sono un appiglio all’esplosione di energia che investe la figura destrutturandola.
«Quando guardano le mie opere mi fanno tutti la stessa domanda: perché cancelli i volti?». Sospira Davide, sorseggiando il vino e mettendo un pezzo dei “Sound Garden”. «Ma la domanda è sbagliata a priori, secondo me dovrebbero dire: ma sotto quella macchia c’è un volto?».
«Forse perché restiamo attratti da ciò che non vediamo», rilancio, «ma credimi si percepisce tutta l’espressività delle donne. C’è una forza che le rende vive, quasi familiari, vien voglia di raschiare quella vernice e liberarle».
«Le ho pensate come immagini riflesse in uno specchio, soggetti che non hanno fisionomia», risponde Davide. «Non sappiamo se lei è triste o felice, non c’è un ritratto; il cervello non riesce a codificare chi è, automaticamente tendiamo a vedere una parte di noi e la proiettiamo su questo volto, il riflesso di noi stessi, la parte più interiore nascosta».
«Il quadro ha riportato alla mia mente il ricordo di una donna incontrata nel passato», affermo con stupore.
«Infatti, è il tuo io che ha ridisegnato i contorni al volto; mi viene in mente una frase di Kylie Jenner Swimsuit: “La pittura prende forma con i tuoi pensieri”. La mia arte vive grazie all’osservatore, ognuno può vederci qualcosa, non credi?»
Silenzio.
Il rumore di un treno lontano si insinua tra la musica diffusa dagli altoparlanti: “In my eyes indisposed. In disguises no one knows, Hides the face..” Da “Black hole Sun” dei Sound Garden.
La stazione Tiburtina si accende quasi come un’astronave pronta ad alzarsi in volo.
Comincio ad aggirarmi per lo studio. Ci sono diversi lavori appartenenti a serie realizzate nel corso del tempo. L’artista ha iniziato a dipingere fin da giovane collaborando con la Galleria napoletana “Franco Riccardo”. Sue mostre al “M.A.D.R.E.”, all’”Artiglieria di Torino”, per fare degli esempi: numerose sono le personali e collettive. Oggi Davide Stasino insegna al Liceo Artistico “Ripetta” in Roma ed è presente in molte collezioni private e pubbliche, sia in Italia che all’Estero.
In alcuni quadri la figura umana viene ridotta ad una sagoma che preme su una superficie simile ad uno specchio, quasi volesse essere liberata, urlare al mondo il desiderio di affermare la propria esistenza. In altri è immersa in uno sfondo porpora molto intenso, o tratteggiata con macchie di caffè. Ciò che le accomuna è la forma di un cerchio stilizzato di colore rosso, dipinto sul capo che cattura immediatamente lo sguardo, sembrerebbe un segno ancestrale, un richiamo all’energia interiore del quadro, alla vita, non saprei di preciso. Provo a chiedere a Davide, ma risponde solo con un cenno del capo.
«Vibrazioni», sussurra, «vibrazioni». Poi prende un ritratto; questa volta i lineamenti sono ben visibili.
«Guarda, son bozzetti preparatori. Prima di distruggere una cosa, devi saperla costruire», mi spiega. «Sono realizzati con acquerello e caffè. Il caffè dà l’idea di qualcosa di vissuto: un riferimento al passato, alla tradizione iconografica italiana. Ora, invece, ti mostro uno dei pochi paesaggi della mia produzione».
Si avvicina quindi al tavolo dell’atelier, scartabella tra le tele scegliendone una in particolare. Sembrerebbe un paesaggio soffocato da colate di grigio denso, ma nulla si vede con precisione, se non i contorni di quello che resta di un monte, un prato, un sentiero, mentre su tutta la superficie cola pioggia di vernice che non è buona, acqua che non vivifica, ma deforma l’ambiente, lo annienta.
«La natura in un prossimo futuro?», chiedo.
«Dipende dall’uomo», risponde. «Qui abbiamo un paesaggio realizzato con un mix di cemento, bitume e vernici, elementi che richiamano la questione ambientale ed il rapporto uomo natura. L’ambiente è privo di colore, c’è solo questa macchia, tutto ciò che rappresenta la vita e l’essere umano è stato spazzato via».
«Ma non c’è solo questo», aggiungo, «è il modo in cui mi sento in certi momenti. Dentro di me cola la tua stessa pioggia grigia. Come se il paesaggio fosse uno spazio intimo, dove inquinamento di altro genere corrode l’anima. Ovunque sia questo luogo, nell’inconscio o nella realtà, in un prossimo futuro o in un altrove, c’è sempre qualcosa di tossico, di alienante. Queste ambivalenze e sfumature rappresentano la cifra della tua arte, a prescindere dal soggetto. Hai la capacità di comunicare spaziando dal reale all’ideale, dal fisico allo psichico e di far dialogare le opere con i nostri demoni più profondi o gli angeli più luminosi: chi lo sa di preciso! Scopro il bello e l’annientamento, la grazia e il catrame, in una parola: la vita».
L’intervista finisce qui, ma un ritratto di donna dal volto coperto da colate di vernice mi scruta, come se volesse rivelarsi, trascinarmi indietro nel tempo fino a quella notte, quando con lei restammo a guardare i treni passare, mentre l’acqua le bagnava i capelli arricciandoli pian piano e rendendoli simili ai miei.
«Se ti liberi dalle maschere abbiamo tanto in comune», le dissi.
«Vieni a vivere vicino a me», rispose.
«Certo, forse un giorno».
Era bella e selvaggia. I suoi occhi respiravano protesi nei miei, tanto che potevo affacciarmi e scoprire tutti i treni delle nostre vite: quelli da cui siamo scesi, quelli persi o mancati per un secondo o per paura di non avere il coraggio di amare fino in fondo.
«Va tutto ok. Prenderò un volo tra poche ore», sospirai.
«Ti aspetterò, mi troverai», rispose.
«Ci rivediamo nei sogni», quasi senza voltarmi.
«Ti avverto i miei sono pericolosi», aggiunse.
«Le tue ombre non perdonano?», dissi io.
«Stai lontano dai miei incubi», mi rispose.
E la pioggia cadeva, come colate di vernice, coprendole il volto.
Diego Pirozzolo
Nella galleria delle immagini alcune opere dell’artista Davide Stasino