Il libro di Mirella Muià, La porta aperta dell’orizzonte, è arrivato nelle mie mani in modo inaspettato: un dono. E tale si è rivelato per me, nel senso più profondo del termine.
Dopo essermi soffermato sull’immagine di copertina, l’ho aperto e al primo rigo ho letto: “Ecco una storia che potrebbe apparire quasi aliena…”. E così, incuriosito, sono andato avanti nella lettura: “Scrivo in un tempo ultimo della mia vita, anche se non so quale senso abbia questo essere ultimo – forse finale, o forse anche solo conclusivo di un percorso che non finisce, ma sfocia in un altro, più ampio, sempre più orientato verso un orizzonte che ogni giorno si apre, con un senso di novità sempre crescente”. Una persona davvero ottimista, ho pensato, aperta alle possibilità che può riservare il futuro.
“… Abito un antico eremo fuori dalle mura di Gerace”. Ah, è una suora quindi, mi sono detto, mentre continuavo nella lettura in un sabato pomeriggio di ottobre.
Pensavo di leggere altre poche pagine e poi avrei visto la partita. Giocava, infatti, la mia squadra del cuore. Anzi ho acceso subito la tv, così da lasciare poi il libro al fischio d’inizio. Certo, sacro e profano, vocazione e pallone, un sabato pomeriggio dai forti contrasti, però anche questa è la vita, no?!
E si fece sera. La tv mandava i commenti del post partita inquadrando gli ultimi spettatori che lasciavano lo stadio. Il cellulare continuava a squillare ricordandomi che forse ero in ritardo con qualcuno. “L’alieno” ero diventato io, mi ero completamente estraniato dal presente leggendo la biografia pagina dopo pagina. Avevo varcato quella porta aperta dell’orizzonte fino in fondo, immergendomi completamente nella vita della Muià. Lei mi ha portato con sé, invitandomi con gentilezza ad attraversare lo spazio esistenziale condensato nelle pagine del libro così pieno di vita, di esperienze e di domande che attengono al senso profondo del nostro vivere.
Cosa chiedi, infatti, ad un libro autobiografico se non di poter entrare in un’altra esistenza? Se non di fuggire dalla tua per provare ad immedesimarti in quella della protagonista, scoprendo parola dopo parola che sta nascendo una relazione. Cominci a conoscerla, ad imparare dai suoi errori e a gioire per le sue piccole o grandi vittorie.
La Muià è figlia di emigrati calabresi, vive prima nel Nord Italia con i genitori e in seguito la ritroviamo a Parigi dove si dedica allo studio e alla ricerca alla Sorbona, la prestigiosa Università francese. La sua storia è un lungo viaggio ricco di incontri, esperienze, sempre teso alla ricerca di un senso che sembra sfuggire. “È una storia, come ogni storia, fatta di passaggi attraverso porte che a volte si socchiudono senza rumore proprio dove meno te l’aspetti, e si fatica quasi a rendersi conto che si sta aprendo un varco dove prima era un muro invalicabile – a volte si spalancano all’improvviso, in modo da poter guardare oltre e intravedere un paesaggio nuovo, in attesa, eppure quasi famigliare, come se avesse preso forma da un sogno nascosto”.
Perché una donna culturalmente brillante, con un lavoro all’Università in una delle più belle città del mondo, lascia ogni cosa per ritirarsi in un eremo in Calabria? Come nasce una vocazione lungo i sentieri della vita? Una storia avvincente che ha il raro pregio di spronarci a riflettere sulle infinite possibilità che l’esistenza ci presenta.
Diego Pirozzolo
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