“Ci siamo”, annuisce il conducente scrutandomi dallo specchietto retrovisore. Il taxi si ferma davanti ad un’ampia tenuta con tre villette liberty immerse tra pini e aiuole fiorite. C’è un intenso profumo di spezie e soffritto di gamberi, si ode rumore di pentole, bicchieri, shaker sbattuti col ghiaccio e Dante Alighieri. “Mi ritrovai in una selva oscura”, ascolto da una finestra. “Hai montato la panna?”, urlano da un’altra. “Amo’ ti hanno interrogato?”, si sente ancora.
Una ragazza sistema la cravatta ad un amico. Ha gli occhi lucidi, lo guarda con un pizzico di imbarazzo. “È la prima volta che indosso una divisa, come sto?”. Lei sorride, mentre continua a perfezionargli il nodo. “Sbrigati che facciamo tardi”, risponde lui, forse per non darle subito soddisfazione.
Un furgone mi passa davanti, mentre vado in una delle ville liberty del complesso. Si ferma. Scaricano bottiglie di ogni genere, tra cui il Franciacorta, il tipico spumante delle campagne lombarde. E già, perché qui non siamo in Borgogna e neppure a Bordeaux, si degustano vini italiani, anche se tutto sembra vagamente francese, perfino la Dirigente che mi accoglie. “C’è molto lavoro”, dice, “ma l’intervista facciamola subito”.
«Sono qui per introdurre un piccolo blog di cucina e cultura, con la partecipazione degli studenti dell’Istituto Alberghiero “Tor Carbone” di Roma – riferisco -. Presenteremo ricette ed i loro giovani autori. Ci insegneranno ad abbinare piatti ad emozioni, quadri, poesie, canzoni e altro ancora, la creatività dei giovani non ha limiti. Un progetto che ha anche lo scopo di promuovere il lavoro che la scuola svolge per preparare il futuro, non solo dei ragazzi nelle loro personali individualità, ma anche della società che accoglierà le piccole donne e i piccoli uomini alla fine del loro percorso formativo».
Pochi attimi di silenzio. La Dirigente Cristina Tonelli sembra riflettere. Nei suoi occhi gradualmente si accende una piccola scintilla al semplice suono delle parole scuola, futuro, studenti, quindi sposta i faldoni, scuotendosi dalla stanchezza della giornata con un battito di ciglia ed inizia a presentarmi l’Istituto.
«L’I.P.S.E.O.A. “Tor Carbone” è il più antico Alberghiero di Roma. Siamo stati per tanti anni portavoce della cultura dell’accoglienza, del fare servizio all’italiana. Oggi abbiamo il dovere di innovare, di conciliare tradizione e innovazione: quello che cerchiamo di fare con i nostri ragazzi, che vengono educati ad essere estremamente rigorosi, attenti ed accoglienti, ma anche aperti ad un mercato del lavoro sempre più competitivo».
«Parlando di formazione e lavoro, un’indagine della Fondazione Agnelli vi colloca tra i primi Istituti professionali per numero di studenti che trova in tempi brevi un’occupazione nei settori di studio. Avete una “ricetta” segreta?, mi conceda il gioco di parole».
«Il segreto è un contatto continuo con gli alberghi, con i ristoranti della città – afferma la Dirigente -. Inoltre, abbiamo realizzato un progetto sperimentale con il quale gli studenti già dalla classe prima sono educati al mondo del lavoro attraverso laboratori interni aperti al pubblico: i nostri bar didattici. Gli alunni imparano già da subito ad avere una clientela vera che paga il servizio e che ha determinate esigenze. Così comincia a formarsi una mentalità imprenditoriale orientata al miglioramento continuo. A scuola siamo attenenti a far passare il messaggio che tutto ciò che si impara sarà utile non solo nel mondo del lavoro, ma anche nella vita».
Squilla il telefono, la Dirigente mi fa segno di pazientare. Siamo ad inizio anno scolastico e posso immaginare tutto il lavoro che c’è da fare. Da adolescente la presidenza mi comunicava una certa apprensione; la consideravo un luogo mitologico dal quale era meglio stare alla larga, le Colonne d’Ercole da non superare nei momenti di euforia tra compagni. In questi anni di pandemia mi chiedo come avranno fatto i ragazzi. Altro che momenti di particolare euforia, sono stati privati delle più normali relazioni in presenza.
«La pandemia ce la siamo lasciati alle spalle ma secondo un’indagine dell’Istat, “I ragazzi e la pandemia”, le relazioni sociali tra gli adolescenti sono crollati di oltre il 50%. Gli esperti già definiscono la generazione attuale come “Ghosting generation”. A distanza di un anno – le chiedo – notate degli effetti negativi sugli adolescenti? Quali sono le strategie messe in campo per arginare il problema?»
«I ragazzi sono completamente diversi da quelli che abbiamo lasciato. È vero che la scuola non si è mai interrotta, i laboratori sono stati aperti garantendo l’inclusione per gli studenti con Bes, ma dobbiamo interrogarci perché i ragazzi non solo hanno perso la capacità di relazionarsi con i propri pari e con gli adulti, ma sopratutto è caduto l’interesse nei confronti dei rapporti dal vivo dopo due anni trascorsi a comunicare solo con mezzi informatici. La scuola è fondata sulla relazione, laddove non c’è relazione non può esserci apprendimento. Abbiamo osservato numerosissimi alunni trascorrere l’intervallo soli con il telefonino, senza che chiedessero al compagno di banco: “Come stai?”, “Che sogni hai?”, “Ci vediamo stasera?”. Gli adolescenti sono grandissimi comunicatori ed hanno bisogno della relazione per crescere in maniera sana.
Era un nostro dovere prendere una posizione. Abbiamo deciso di non far usare il telefonino anche nei momenti di pausa e devo dire che sta funzionando, stiamo rieducando gli studenti alla relazione dal vivo, perché è fondamentale in un percorso di crescita sano ed equilibrato.
Altra misura è l’apertura di tutti gli spazi aperti, perfino durante le lezioni, in modo che si possa riscoprire il valore della natura, di studiare e vivere in un ambiente bello, per sentirsi delle persone in toto.
Fondamentale è anche il rapporto con gli adulti. Abbiamo chiesto agli insegnanti di mettere da parte qualche volta i risultati scolastici per dare rilievo alla relazione con gli alunni. L’educatore ha questo compito. Deve guidare il ritorno alla normalità, ad un mondo di persone che si parlano, che vivono insieme per costruire il futuro».
Terminata l’intervista, ringrazio la Dirigente dell’accoglienza e della collaborazione a questo progetto ed ecco che lei prima di congedarmi ci tiene a sottolineare ancora un aspetto importante dell’Istituto Alberghiero.
«L’accoglienza per noi è un must – mi riferisce -, accogliere è una cosa bellissima, ci piace questa parola, anche perché il modo di accogliere in Italia nelle strutture ricettive è riconosciuto come il migliore. Il nostro è il modo del sorriso. Sa che molte scuole estere, che abbiamo frequentato attraverso sperimentazioni internazionali, invitano i nostri docenti per formare i loro? Ci chiedono “Insegnateci a sorridere come sorridete voi”. Questa per noi è l’essenza del modo italiano, della nostra scuola: accogliere col sorriso».
All’uscita dalla villa, mentre raggiungo il taxi, incrocio una colonna di studenti in divisa con in mano vassoi di dolci decorati a regola d’arte. Nel loro incedere sicuro iniziano a sorridermi in modo orgoglioso. Sarà il fare accoglienza all’italiana, penso, o perché hanno percepito che assaggiavo con gli occhi le loro creazioni, non saprei dirlo con precisione, di certo, ripensando a questa esperienza, si può apprezzare come giorno dopo giorno migliaia di educatori, in modo silente e appassionato, riescono ancora ad amalgamare gli ingredienti giusti per preparare la società del domani: signori, la scuola è “servita”.
Diego Pirozzolo