Il cinema di Mia Hansen-Løve ha spesso descritto la perdita lacerante di una persona cara – un marito, un amante, una figura maschile autorevole e paterna… –, legata ai ricordi di un passato felice, e nel contempo il tentativo laborioso di riempire il vuoto, elaborare il lutto, attraverso l’incontro con l’altro, l’incanto di un amore nuovo, vissuto come elemento salvifico, rigenerante, che apre la via a un futuro di speranza.
Un bel mattino narra di Sandra (Léa Seydoux, eccellente), una giovane donna e madre di una bambina di otto anni, costretta a prendersi cura del padre afflitto da una grave malattia degenerativa che gli va consumando la memoria e la vista. Mentre assiste, impotente, al progressivo declino fisico e mentale del genitore, Sandra s’imbatte in Clément, un amico perduto, ora sposato, con cui avvia una difficile ma appassionata relazione affettiva.
Ispirato almeno in parte all’esperienza della malattia del padre della regista, Un bel mattino è un film semplice, con un sapore di forte verità, di immediatezza, di penetrante attenzione e sconcertante leggerezza. Una pellicola che, con il suo respiro narrativo fluido e il suo sguardo empatico e solidare, ripropone l’eleganza misurata e composta che abbiamo imparato a riconoscere come la cifra peculiare del cinema della Hansen-Løve. Un cinema capace di valorizzare appieno la resa visiva degli ambienti (una Parigi borghese, più vera del vero) e la professionalità degli interpreti, e di rendere attraverso uno stile sobrio, sussurrato, pudico, ignaro delle tentazioni del patetico e della retorica dei sentimenti, fremiti ed emozioni, i più diversi stati d’animo dei personaggi.
Nicola Rossello