La rassegna di Palazzo Ducale di Genova “Giuseppe Cominetti. Divisionismo e futurismo tra Genova e Parigi”, a cura di Matteo Fochessati e Daniela Magnetti, aperta fino al 4 giugno 2023, riesamina l’esperienza umana e pittorica dell’artista piemontese soffermandosi in particolare sulle due tappe determinanti della sua carriera di artista: il primo periodo genovese, che va dal 1903 al 1908, e quello, immediatamente successivo, del suo soggiorno parigino, dal 1909 al 1916 (largo spazio è comunque concesso ai suoi lavori degli ultimi anni).
La mostra fa parte di un progetto che si articola in altre due esposizioni nella stessa città di Genova, alla Wolfsoniana di Nervi e al Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, anch’esse dedicate all’artista e alla sua produzione.
Cominetti era nato a Salasco, nel Vercellese, nel 1882 e aveva studiato all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Il suo trasferimento a Genova gli diede l’opportunità di entrare a contatto con i maggiori esponenti della comunità artistica locale: Rubaldo Merello, Plinio Nomellini, Gaetano Previati (ferrarese, ma attivo proprio in quegli anni a Lavagna), campioni tutti di una cultura pittorica simbolista allora assai forte in Liguria (dove pure era presente lo scultore Leonardo Bistolfi), artisti la cui produzione, pervasa da uno spiritualismo umanitario attento alle problematiche sociali, si apriva alle sperimentazioni luministiche del divisionismo puntinista.
È Nomellini, in particolare, a destare l’attenzione di Cominetti e a condizionarne le scelte. Nelle sue prime tele Cominetti mostra di voler cercare il confronto con il maestro livornese, adottando una tecnica pittorica giocata sull’utilizzo di pennellate lunghe, sottili, filamentose, e del colore puro, capace di farsi linea e disegno. Allo stesso modo, i suoi quadri più generalmente noti e celebrati, Le forgeron, L’édilité, L’électricité, opere di formato impegnativo, impostate su immagini imponenti, solenni, ispirate al socialismo umanitario di Giovanni Cena, conservano, nella scelta del soggetto, quella tensione verso il sociale (la celebrazione del lavoro come sforzo eroico, la denuncia delle misere condizioni di vita delle classi più umili) che era una tematica largamente diffusa nella pittura del tempo, non solo in Nomellini, ma anche in Pellizza da Volpedo, in Angelo Morbelli, in Emilio Longoni. Alla maniera divisionista è riconducibile Paesaggio con pecore, dichiarato e commosso omaggio al lessico di Giovanni Segantini, mentre con Un matrimonio Cominetti realizza un’opera decisamente insolita, a metà strada tra le atmosfere spettrali di James Ensor e quelle inquietanti di Edvard Munch.
Invitato al Salon d’Automne del 1909, egli lascia Genova e si reca a Parigi, dove la sua ricerca pittorica si apre a nuovi orizzonti espressivi. L’ambiente artistico della Ville Lumière viveva in quegli anni il clima fervido e febbrile delle avanguardie storiche, alle cui sollecitazioni Cominetti non poté certo restare indifferente. Tramite Gino Severini, egli si accosta al gruppo di Marinetti, pur senza aderire ai dettami più estremi e iconoclasti del Futurismo. Si può parlare di un Cominetti che si muove, in questo periodo, entro una personale e originale e disinvolta accezione del movimento marinettiano. In effetti, la stagione parigina, pur rappresentando un momento cruciale dell’itinerario artistico del pittore, non si pone in completa antitesi con quella precedente. Essa viene piuttosto a riassorbire e rielaborare le esperienze passate per giungere, pur con qualche oscillazione e diversione, a una qualità pittorica rinnovata.
In opere come Lussuria, Venere, Tango, Carnevale a Parigi, Il volano, Ballerine di Can Can, così come nella nutrita serie di dipinti dedicati alle attività sportive, Cominetti non rinnega le conquiste acquisite, ma lavora in continuità con le esperienze del periodo genovese. Del resto, se già in passato, nei Conquistatori del sole (non esposto in mostra), la figura del contadino, ripresa in tre momenti diversi della sua azione, poteva essere letta come un preannuncio del continuum futurista, ora Cominetti fa ricorso agli stilemi del divisionismo (nell’andamento della pennellata, nelle soluzioni luministiche e cromatiche) per esprimere le tematiche e i principi del nuovo credo marinettiano: il dinamismo della vita contemporanea, la velocità, la simultaneità, l’esuberanza vitale.
L’attività pittorica successiva alla Grande Guerra è rappresentata in mostra da paesaggi rurali e di mare (Vele, Marina), ritratti (assai intenso quello del dottor Gatti, uno degli ultimi lavori dell’artista), scene sacre (La pesca miracolosa) o di soggetto agreste, come Contadini alla vendemmia, Portatrici di ceste: opere tutte in cui, accantonate le sperimentazioni avanguardistiche, Cominetti prosegue la propria ricerca entro i binari di una cultura figurativa di stampo più tradizionale, in piena sintonia, del resto, con i richiami all’ordine che proprio in quegli anni animavano il dibattito artistico. Nel contempo, Cominetti si scopre scultore, scenografo di teatro, decoratore di ceramiche, creatore di mobili in stile déco (in mostra una sua scrivania, un tavolo, sedie, sgabelli, poltrone, persino una porta). Torna a operare in Liguria: a Genova, ad Albisola. E a Chiavari, dove nel 1926, sulla spiaggia, cura l’arredo scenico dell’Alceo di Antonio Ongaro, un “dramma piscatorio” risalente al 1581 (la regia era del fratello Gian Maria, l’interprete principale Lamberto Picasso).
Coinvolto in un grave incidente stradale, Giuseppe Cominetti muore a Roma nel 1930.
Nicola Rossello