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“Letizia Battaglia. Sono io”, a Genova una mostra dedicata alla grande fotografa siciliana

Il giudice Giovanni Falcone ai funerali del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Palermo, 1982 © Archivio Letizia Battaglia
Il giudice Giovanni Falcone ai funerali del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Palermo, 1982 © Archivio Letizia Battaglia

La retrospettiva che il Palazzo Ducale di Genova dedica in questi giorni a Letizia Battaglia (visitabile sino al primo novembre 2023; curatore Paolo Falcone) comprende una galleria visiva di scatti di grandi dimensioni e in bianco e nero (ma v’è pure una serie di immagini a colori dedicate alla campagna pubblicitaria Lamborghini, uno degli ultimi impegni dell’artista) attraverso cui si è voluto ripercorrere la carriera della fotografa siciliana mettendone in luce il profilo umano, accanto a quello professionale (la Battaglia fu anche attivista politica, editrice, promotrice di iniziative culturali: in mostra sono presenti libri, pubblicazioni, filmati, documenti inediti, attinenti alle sue molteplici attività).

Nata nel 1935 a Palermo – città che Letizia ha sempre avuto nel cuore e a cui si sentiva legata da un groviglio inestricabile di sentimenti contrastanti –, la Battaglia ha scoperto il mondo della fotografia quasi per caso, nel 1969, quando fu incaricata dal quotidiano “L’Ora” di illustrare i casi di cronaca locale. Trasferitasi a Milano nel 1971 (un soggiorno importante, il suo, che le ha consentito di acquisire i trucchi del mestiere), nel 1974 è di nuovo in Sicilia, dove per quasi cinquant’anni eserciterà la propria attività professionale con una passione divorante che farà di lei uno dei grandi nomi della fotografia italiana. È morta nel 2022.

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Le immagini più note, che hanno fatto conoscere e apprezzare la Battaglia alle grandi platee, sono quelle che documentano le guerre di mafia che insanguinarono la Sicilia a partire dagli anni Settanta; gli stessi tragici episodi di criminalità organizzata che hanno indotto l’artista a interrogarsi sul ruolo del fotografo, sul senso da attribuire alla propria responsabilità etica e civile di testimone e interprete critica della realtà contemporanea. Accanto alle foto iconiche, che raccontano le stragi e la risposta dello Stato, inquadrature dalle strutture compositive essenziali, ma di forte densità narrativa (Omicidio targato, Palermo, 1975; Il boss Gaetano Fidanzati in tribunale, Palermo, 1978; L’albero secco, Palermo, 1980; Il giudice Giovanni Falcone ai funerali del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Palermo, 1982), sono esposte in rassegna varie immagini di taglio propriamente sociale attraverso cui la Battaglia si è imposta di fornire una rappresentazione documentale del suo tempo. Assieme ad alcune foto che illustrano i riti mondani della Palermo “bene” (Ricevimento aristocratico in giardino con volpe morta, Palermo, 1987), ci sono scatti in cui emerge lo spaccato duro e doloroso di una città ancora arcaica, quella dei suoi quartieri più miserabili, gravati dall’indigenza economica: un paesaggio urbano derelitto, abbandonato a se stesso, di cui la Battaglia percorre stradine, vicoli, piazze, rioni, angoli bui e maleodoranti, catturando squarci di pura quotidianità: una sequenza narrativa continua di luoghi, persone, situazioni, gesti, registrati con gusto tipicamente neorealista in un bianco e nero ruvido e crudo, che è diventato in qualche misura la cifra distintiva dell’artista.

Sono fotografie in cui si avverte la vicinanza e il profondo, viscerale attaccamento della Battaglia alla propria terra e alla sua gente (I misteri. La colombina, Trapani, 1989, scelta come immagine guida della mostra; Il figlio veglia il padre nell’androne della casa povera, Palermo, 1986; Serena recita all’aperto per i bambini del quartiere Capo, Palermo, 1990). Si può notare in queste foto una grande attenzione all’elemento umano, alle persone che popolano i bassi, riprese nella vita di tutti i giorni. Alle bambine, in particolare, protagoniste di innumerevoli suoi scatti, l’artista ha sempre riservato uno sguardo affettuoso, empatico, mai invadente. Inquadrando con estrema delicatezza e rispetto le espressioni dei loro volti, ne ha saputo cogliere le piccole gioie e le speranze, le sofferenze precoci e i muti tormenti, la religiosa accettazione della realtà. Come lei stessa ha scritto: “Le bambine, il sogno delle bambine mi emoziona. Ho cercato il loro sogno, quello di trovare amore, futuro fantastico, avventure, pace, libertà e bellezza. In loro ritrovo me stessa bambina”.

Osservando alcune delle sue foto (Le ortensie, Trapani, 1982; l’indimenticabile Bambina con il pallone, Palermo, 1980; La bambina e il buio, Isnello, 1980; Quartiere Kalsa. La bambina con il pane, Palermo, 1979; Amiche, Cefalù, 1981; La bambina lavapiatti, Monreale, 1979; La bambina e il pecoraio, Baucina, 1986), si pensa a Mouchette, l’eroina del romanzo di Bernanos e del film di Bresson, per ritrovare un analogo rapporto di vicinanza solidare, fraterna, cristiana, che ci consente di cogliere l’umanità di quelle piccole creature, la loro innocenza – un’innocenza già consapevole del male, ma impermeabile ancora alla corruzione e al peccato –, il loro istintivo attaccamento alla vita e alle sue brevi emozioni.

Nicola Rossello

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