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“Rubaldo Merello. Paesaggio e figure” – Mostra alla GAM di Genova Nervi

Rubaldo Merello, Portofino, Il Promontorio di Portofino, olio su tela
Rubaldo Merello, Portofino, Il Promontorio di Portofino, olio su tela

La bella natura che assorbe l’uomo e lo annienta per campeggiare essa stessa sfolgorando
(Rubaldo Merello)

Nel 1907 il gallerista milanese Alberto Grubicy de Dragon invitò Rubaldo Merello (1872-1922) a esporre a Parigi al Salon des peintres divisionistes italiens, una rassegna da lui stesso curata, a cui parteciparono i principali esponenti di quel movimento, da Segantini a Previati. Merello a quell’epoca era un artista poco più che sconosciuto, che nella fase iniziale della sua carriera aveva praticato la scultura funeraria, e che solo di recente aveva scoperto la pittura di paesaggio e la tecnica della divisione del colore. A Parigi egli presentò sei dipinti, che incontrarono un notevole favore. Fu un successo, che però non ebbe ripercussioni significative sulla sua vita, che rimase la vita di un pover’uomo costretto a tirare avanti tra mille difficoltà economiche, l’animo segnato da dolorosi lutti familiari (la perdita del fratello, della madre e del figlioletto Pier Paolo). Di fatto, Merello restò sino alla fine dei suoi giorni un pittore isolato, incapace di farsi valere nel circuito artistico locale, anche a causa del suo carattere riservato, introverso, timidissimo.

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Tant’è, la pittura di Merello sarà da allora legata all’immagine del paesaggio divisionista ligure. Le macchie boschive e le distese marine, gli scoscendimenti rocciosi e le insenature di Ruta di Camogli, San Fruttuoso, Portofino, Santa Margherita – le località in cui Merello condusse la sua esistenza appartata, schiva e laboriosa – rimarranno il motivo centrale, pressoché esclusivo, della sua attività pittorica. Nelle sue composizioni più note e celebrate egli mira a restituire il respiro e le iridescenze dei luoghi rappresentati (dai quali resta esclusa la figura umana), applicando in modo personalissimo, non sempre ortodosso, i principi del Divisionismo, picchettando talora la tela con piccoli tocchi di colore, talora ricorrendo invece a una pennellata lunga e filamentosa, tesa a creare una luminosità atmosferica diffusa.

La rassegna di Genova Nervi (visitabile sino al 14 marzo 2024 presso la Galleria d’Arte Moderna) ci consegna un pittore vero, di spiccata vocazione coloristica, e una pittura in cui domina una tavolozza eccitata, sontuosa, tesa a conferire una straordinaria intensità emotiva e lirica a scorci della Riviera di Levante, colti nelle diverse ore del giorno e in ogni possibile variazione di luce. Questo è il Rubaldo Merello che abbiamo imparato a conoscere e ad amare, grazie anche alle numerose occasioni espositive che in questi ultimi decenni sono state a lui dedicate.

E però, come ben documentano Matteo Fochessati e Francesca Serrati, i curatori della retrospettiva, nell’itinerario pittorico di Merello si può riscontrare uno svolgimento evolutivo che, nella stagione più avanzata della sua produzione, induce l’artista a prendere gradatamente le distanze dall’estetica divisionista e a modificare il proprio registro espressivo (non il repertorio tematico, che rimarrà praticamente lo stesso), sino ad adottare accensioni cromatiche prossime alla cultura fauve. Si pensi a tele come Olivi a San Fruttuoso, Pini scabri, Alberi e colline, Piante grasse o Il fico d’India, opere in cui la tavolozza inventa timbri dissonanti, allucinati, quasi astratti (l’azzurro, il viola, il rosso come tinte dominanti); dipinti in cui la veduta di un paesaggio diviene rappresentazione di uno spazio emozionale. Non a caso, un critico autorevole come Cesare Brandi aveva inteso avvicinare l’opera di Merello a quella di Munch e di Bonnard.

Accanto alla più conosciuta attività pittorica, la mostra ha voluto assegnare un adeguato risalto alla produzione grafica dell’artista. Qui emergono gli umori più propriamente simbolisti del maestro, quel gusto per l’arabesco, per il linearismo decorativo Art Nouveau che si andava diffondendo anche in Italia negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. I disegni (a sanguigna, a carboncino, a matita) consentivano a Merello di dare libero corso alla propria propensione per il mitico, il fantastico, l’onirico, e di misurarsi con soggetti di carattere allegorico o spiritualista, o di ispirazione religiosa (La guerra, Martirio di San Sebastiano). Sono opere in cui la rappresentazione della figura umana, assente nei dipinti, viene associata a un nuovo arsenale di immagini incentrate sul tema dell’eterno conflitto tra il Bene e il Male, la Vita e la Morte.

Legato da un rapporto di profonda amicizia con il poeta e drammaturgo Sem Benelli, che in quegli anni viveva a Zoagli in un castello neogotico affacciato sul mare, Merello ne illustrò il poema Le nozze dei centauri con una serie di disegni caratterizzati da una forte cifra simbolista. Lo stesso Benelli lo convinse a partecipare alla Fiorentina Primaverile, un’importante esposizione che si sarebbe dovuta svolgere nel 1922. Ma, prima che questa aprisse i battenti, il 31 gennaio dello stesso anno Morello moriva a Santa Margherita. Le sue ultime parole furono: “Vedo tutto azzurro”. L’azzurro era il colore distintivo dei suoi dipinti.

Nicola Rossello

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La Sapienza Università di Roma - Foto di Diego Pirozzolo
Fondazione Roma Sapienza, “Arte in luce” X edizione

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