De Nittis ha raccontato per immagini il melodioso tumulto della città moderna
(Antonio Paolucci)
Nel 1874 si tenne a Parigi nello studio del fotografo Nadar la prima storica mostra degli Impressionisti. Vi parteciparono tutti o quasi tutti i maggiori esponenti del movimento, da Degas a Renoir, da Monet a Pissarro, da Sisley a Cézanne, a Berthe Morisot. Erano assenti Manet, che non aderì mai alle esposizioni del gruppo, e il povero Bazille, che aveva trovato la morte in battaglia durante la guerra franco-prussiana. Tra quanti parteciparono alla rassegna, notiamo anche il nome di un pittore italiano giunto solo pochi anni addietro nella capitale francese: Giuseppe De Nittis (Barletta 1846 – Saint Germain-en-Laye 1884).
Si è assai discusso sui rapporti tra De Nittis e l’Impressionismo. Il maestro pugliese, che pure fu in stretti legami di amicizia con Manet e Degas, di cui fu grande estimatore, non entrò mai a pieno titolo nel movimento impressionista e rimase sempre una personalità a sé stante, con un proprio stile specifico. Dopo che nei primi anni Settanta aveva deciso di sottrarsi alla tutela della Maison Goupil, De Nittis nel resto della sua carriera guardò sempre con vivo interesse al nuovo linguaggio rivoluzionario che si andava diffondendo in Francia, percepì appieno il carattere radicale di quella pittura, ma la sua indole e la sua formazione “mediterranea” lo indussero a considerare con qualche distacco lo svolgersi di quelle vicende artistiche, e ad adeguarle alle proprie autonome inclinazioni espressive.
La retrospettiva attualmente in corso a Milano nelle sale di Palazzo Reale (aperta sino al 30 giugno 2024; assai ben curata da Fernando Mazzocca e Paola Zatti), nell’offrire al visitatore un profilo compiuto dell’iter pittorico di De Nittis proponendo una novantina delle sue opere più significative, si sofferma su alcuni aspetti specifici dell’attività del maestro riconducibili in certa misura al nuovo credo impressionista.
Innanzi tutto, l’attenzione a una pittura di paesaggio lontana da ogni accademismo di maniera. Già nelle sue prime vedute pugliesi e napoletane, realizzate nella fase iniziale della sua carriera, prima del suo definitivo trasferimento a Parigi (l’esordio dell’artista barlettano è nel segno della scuola naturalista di Resina, di cui egli fu il principale interprete), De Nittis aveva praticato felicemente la novità dell’en plain air. Privilegiando la composizione all’aria aperta, l’osservazione diretta della natura, egli mirava a cogliere la qualità della luce e dei suoi riflessi. Il confronto con il dato reale veniva a tradursi in rappresentazioni d’ambiente di fresco e concreto realismo, dove la ricerca del vero comportava la rinuncia all’idillio pastorale e a ogni residuo aneddotico.
Le sue visioni della campagna pugliese, di Portici, delle pendici del Vesuvio, così come, del resto, i paesaggi realizzati sulle rive della Senna, le sue celebri vedute cittadine di Parigi e di Londra (queste ultime, spesso di formato monumentale, suscitarono l’ammirazione di Van Gogh), evidenziano un senso moderno di osservazione della realtà. L’Ofantino, La National Gallery e la chiesa di Saint Martin a Londra, Piccadilly, Westminster, La domenica a Londra, Trafalgar Square, La place des Pyramides sono dipinti in cui, ricorrendo a uno stile agile e abbreviato, teso a catturare le fugaci vibrazioni atmosferiche (nello sfondo di Westminster v’è un’eco di Turner), e a una gamma cromatica volutamente ridotta e comunque ben riconoscibile (le tinte madreperlacee dolcemente diffuse, gli accordi dei grigi caldi, le infinite variazioni dei bianchi che incantavano Edmond de Goncourt), De Nittis arriva a permeare le proprie composizioni di una vena di quieta, sottile malinconia.
Con gli Impressionisti (e con Whistler e Van Gogh) De Nittis condivise la passione per la grafica giapponese. Passione che lo indusse ad adottare nelle sue opere elementi specifici di quella cultura figurativa: tagli prospettici audaci e imprevedibili, tesi a rendere la percezione immediata del particolare fugace; passaggi sfumati di tono; tinte tenui e delicate (Il kimono color arancio, dove pur si avverte l’influenza de La Japonaise di Monet; la serie dei dipinti dedicati al Vesuvio, che si richiamano a Hokusai; Sulla neve; Tra i paraventi; Il paravento giapponese). Lo stesso ricorso alla tecnica del pastello, utilizzata anche per lavori di vaste dimensioni, è riconducibile al gusto per le giapponeserie che tanto andava di moda nella seconda metà dell’Ottocento. Furono eseguiti a pastello alcuni raffinati ritratti femminili in cui all’eleganza scintillante dei personaggi effigiati si accompagnava un senso di spontaneità e di intensità psicologica: opere che, come La signora con l’Ulster, o La femme aux pompons, o Mademoiselle Diogène, o In visita, fecero dell’artista uno dei più ricercati ritrattisti dell’alta società e gli valsero il titolo di peintre des Parisiennes.
La fama di De Nittis resta in ogni caso legata all’immagine della Parigi della Belle Époque. Assieme agli impressionisti, egli seppe afferrare la bellezza della modernità di cui parlava Baudelaire, “il lato epico della vita di ogni giorno”, il meraviglioso del tempo presente, lo spettacolo di un paesaggio urbano in rapida trasformazione, con le sue folle che sciamavano lungo i marciapiedi dei grandi boulevard, i suoi salotti esclusivi, i ritrovi notturni, i parchi, i café, i campi di corse. Con Boldini, Tissot, Stevens, divenne il cantore brioso dei fasti della ricca borghesia parigina fin de siècle, una società elegante e raffinata, dedita ai propri riti mondani, che il pittore barlettano seppe rappresentare in una serie di dipinti smaglianti che riscossero all’epoca grandi successi e apprezzamenti.
In mostra è presente uno dei suoi quadri più celebri: Ritorno dalle corse (La signora col cane): una tela di taglio fotografico in cui una giovane donna avvolta in un abito nero, una veletta sottile a celare la parte superiore del volto, un grosso mastino tenuto al guinzaglio e lo scudiscio nella mano sinistra, è ripresa in primo piano mentre incede altèra e sicura di sé come un’eroina dannunziana. Un’immagine in qualche modo emblematica di un’epoca e di un mondo: quello della buona società francese della Terza Repubblica. Accanto a questa squisita istantanea, a cui Camillo Boito dedicò pagine encomiastiche, sono esposte a Milano altre composizioni in cui De Nittis si dimostrò illustratore attento e acuto della vie moderne: La pattinatrice, altra opera di straordinaria qualità esecutiva, con la sua stupefacente sinfonia di bianchi da cui emerge la figura femminile, L’amazzone al Bois de Boulogne, Il salotto della principessa Mathilde, Alle corse di Auteuil…
Un’atmosfera più intima e confidenziale si coglie in brani come Pranzo a Posillipo, o La signora De Nittis e figlio, o L’amaca, ma, soprattutto, ne La colazione in giardino. Realizzata nel 1884, l’anno stesso della morte prematura dell’artista, quest’ultima tela possiede l’incanto di una piccola scena domestica in cui si respirano quieti affetti familiari. V’è una squisita natura morta in primo piano, sulla tavola imbandita, intorno alla quale fanno colazione la moglie del pittore, Léontine (la stessa che, con generosa lungimiranza, lascerà alla città di Barletta un cospicuo nucleo di opere del marito, che verranno a costituire la Pinacoteca Giuseppe De Nittis), e il figlio Jacques. Ma – segno tristemente premonitore – la sedia riservata al maestro è vuota…
Nicola Rossello