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“La Liguria di Beppe Levrero. Incanti di marine” – Mostra a Moneglia

Beppe Levrero, Camogli, 1954
Beppe Levrero, Camogli, 1954

Nato nel 1901 a Genova Voltri, ma formatosi a Torino, dove ebbe modo di frequentare lo studio dello scultore Leonardo Bistolfi e di legarsi da amicizia con Felice Casorati, Carlo Levi, Umberto Mastroianni, Beppe Levrero volle comunque conservare, nel corso della sua lunga carriera di artista, una propria orgogliosa e intransigente indipendenza, rifiutando di farsi arruolare nelle varie correnti figurative che si andavano alternando in Italia nella prima metà del Novecento. Una scelta, la sua, che gli ha consentito di restare sempre fedele al suo credo pittorico e di sviluppare una poetica e uno stile con caratteri propri e originali.

Qualcuno (Angelo Mastrangelo), analizzando la sua produzione degli anni maturi, ha parlato di un “espressionismo mediterraneo”, ovvero di un “espressionismo pulsante, materico, interiorizzato”. Di fatto la pennellata drammatica, impetuosa, vibrante, e i densi impasti di colore con cui Levrero dava respiro alle sue composizioni (penso in particolare a opere degli anni Settanta, come Mare di Liguria o Onde contro il molo) miravano non già a una fedele, mimetica riproduzione della realtà, ma a una sua rivisitazione permeata di un lirismo intenso, profondo.

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I paesaggi costieri della Riviera ligure (un tema assai caro a Levrero, frequentato con costanza lungo tutta la sua carriera, come ben documenta la rassegna che si svolge nel Palazzo Comunale di Moneglia dal 30 agosto all’ 1 settembre 2024) diventano allora occasione per accese elaborazioni cromatiche, dove la pur vigile attenzione naturalistica delle prime prove del maestro lascia a poco a poco il posto a un’intenzione deformante, visionaria, di inusitata energia espressiva.

Dipinti come Marina di Camogli, del 1932 (dove pare di poter cogliere richiami alla maniera arcaizzante e neogiottesca di Carlo Carrà, che proprio un anno prima aveva realizzato a Moneglia uno dei suoi massimi capolavori: Il pino sul mare), Pioggia sul porto, del 1954, Mare di Portofino, del 1956, Pioggia su Arenzano, del 1956 (una tavola che, con le sue cromie feroci, sembra quasi volersi accostare alla tavolozza di Munch), Il mare di Camogli, del 1957, per citare alcuni titoli significativi, rappresentano prove esemplari di una “ricerca estremamente vitale, esplosiva, ferrea” (sono ancora parole di Mastrangelo), in cui è talora possibile avvertire un’eco della lezione dei grandi maestri del passato che furono per Levrero punti di riferimento per la sua arte. La lezione dei paesisti che egli amava e ammirava e, sentendoli a sé affini, prediligeva su tutti: Francesco Guardi, studiato con grande attenzione durante i suoi viaggi e soggiorni a Venezia, e poi William Turner (in mostra v’è un’opera che lo omaggia esplicitamente) e John Constable. E naturalmente Antonio Fontanesi, la cui “poesia del vero” (così la definiva Roberto Longhi) ha lasciato, per ammissione stessa di Levrero, tracce profonde nella sua vicenda artistica.

Nicola Rossello

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