Scenografo e costumista teatrale di rinomanza internazionale (leggendario il suo sodalizio con registi del Teatro stabile di Genova del calibro di Aldo Trionfo, Tonino Conte, Gianfranco De Bosio, Egisto Marcucci), nonché arredatore di navi da crociera e di locali pubblici, autore di pellicole di animazione (due nomination all’Oscar nel 1965 e nel 1973) e, naturalmente e soprattutto, illustratore, Lele Luzzati (1921-2007) è oggi considerato una delle personalità di maggior rilievo della scena figurativa italiana del Novecento.
Quest’anno la Casa Luzzati, che ne cura la memoria, ha inteso omaggiarlo proponendo, nella sua nuova sede di Palazzo Ducale a Genova, una mostra focalizzata sulla presenza, nella produzione del maestro, dell’immaginario medievale.
Dalla rassegna (visitabile sino al 7 gennaio 2025) emerge il racconto per immagini di un Medioevo fantastico, bizzarro e coloratissimo, quasi un luogo magico, sospeso tra il sogno e la realtà: un altrove atemporale, evocato con tono fiabesco e lussureggiante densità visionaria, e al tempo stesso descritto con attenzione alla resa del particolare naturalistico. Attraverso una nutrita serie di disegni a matita, pastelli, acqueforti, collage, ceramiche, sculture, l’estro immaginativo di Luzzati dà vita a un campionario di rutilanti strutture architettoniche costituito da favolosi castelli, osterie, conventi, città (alla Genova medievale è riservata una sezione della mostra), intorno a cui si muove frenetica una folla variopinta di re e dogi e paladini di Francia, principesse e saltimbanchi, avventurieri e giullari di corte, santi e armigeri, navigatori e mercanti.
“Un Medioevo cristiano, letto attraverso gli occhi di un ebreo del Novecento” (così lo ha definito Antonio Musarra), reinventato sulla scorta di alcuni testi canonici (la Chanson de Roland, la Divina Commedia, il Milione, il Decameron, l’Orlando Innamorato, il Don Chisciotte…) su cui Luzzati ha riversato tutta la propria vastissima cultura figurativa, per poterci offrire, di quei testi, una rilettura squisitamente personale.
L’evocazione del mondo dei “secoli bui” passa allora attraverso il recupero di un repertorio iconografico a cui Luzzati attinge a piene mani, in qualche modo destrutturandolo, per meglio adattarlo al proprio unico e inconfondibile stile descrittivo. Uno stile ricercato e colto, che, nelle soluzioni compositive e formali adottate dall’artista, così come nel ricorso a giocose deformazioni grottesche e a contrastati accordi di colore (retaggio di una tradizione figurativa ebraica, chagaliana), sembra perseguire un intento preciso: quello di dare libero corso al gioco della fantasia.
Nicola Rossello